Cosa fare dopo l’indignazione, passo dopo passo, dall’impegno non violento fino alla responsabilità di governare “con tenerezza e disciplina”. È il percorso seguito da Davide Mattiello nel libro La mossa del riccio (Add editore), una riflessione indirizzata a chi vuole darsi da fare. Mattiello, quarantenne torinese che si divide tra l’impegno con l’associazione antimafia Libera, Acmos (per l’educazione alla cittadinanza) e col think tank Benvenuti in Italia, ripercorre le storie e gli insegnamenti di Danilo Dolci, Gandhi, Norberto Bobbio, ma anche i Wu Ming e altri. Poi li ricollega alle sue esperienze personali, a cui recentemente se n’è aggiunta una nuova: la settimana trascorsa insieme a una ventina di altri italiani, in Tunisia come osservatore internazionale per l’elezione dell’assemblea costituente il 23 ottobre. “È la continuazione di un impegno– spiega a ilfattoquotidiano.it – da cui siamo tornati portando la testimonianza di un cambiamento”.
La delegazione organizzata a livello nazionale da Assopace è stata a Sidi Bouzid, la città in cui Mohamed Bouazizi si dette fuoco il 18 dicembre 2010 in segno di protesta e da cui ebbe inizio la primavera araba. “Loro hanno fatto una rivoluzione usando anche la violenza – ammette Mattiello cercando di intercettare possibili repliche dopo gli scontri di Roma alla manifestazione degli Indignati del 15 ottobre -, ma dovevano abbattere innanzitutto un regime autoritario. Noi abbiamo una democrazia garantita dalla Costituzione, non possiamo bypassarla con la violenza. Farlo andrebbe contro il sacrificio di chi si è battuto per i nostri diritti durante la Resistenza”.
Per questo motivo si devono usare strumenti legali e non violenti, di cui Mattiello fa un catalogo ne La Mossa del Riccio partendo dagli scioperi della fame di Danilo Dolci all’esperienza di don Lorenzo Milani a Barbiana, attraverso la “pedagogia degli oppressi” di Paulo Freire. Dall’indignazione per le ingiustizie si deve passare allo slancio che porta alla reazione e all’impegno, fino l’assunzione della responsabilità nei ruoli di potere: “Manifestare, raccogliere firme, fare cortei, organizzare sit-it serve soprattutto a chi lo fa: mobilita le coscienze, sfoga il bisogno di agire. Ma guai a fermarsi lì”, scrive l’autore nel saggio. Bisogna anche esercitare il potere, un’azione che molti guardano negativamente: “Non è questo il problema, ma chi lo usa e come lo usa – spiega Mattiello -. Oggi è diventato un concetto brutto, ma non giustifica la rassegnazione e la violenza”. E allora, cosa fare in un momento di stallo dove è difficile realizzare un cambiamento? “Bisogna imparare a usare meglio gli strumenti democratici. Con ‘disciplina’, nel sottotitolo, intendo appunto l’impegno, la competenza, la professionalità contrapposti all’arroganza dell’ignorante e del forte”.
Per questa ragione Acmos è impegnata nell’educazione alla cittadinanza mentre Benvenuti in Italia tiene una scuola di politica alla ricerca di nuove soluzioni. “Portare avanti la democrazia è uno dei giochi più difficili. Significa attivare tecnologie democratiche molto complesse come lo sono i partiti. Lo so che possono far cadere le braccia, ma dobbiamo impegnarci per farli funzionare meglio. Chi pensa di buttare via il bambino con l’acqua sporca o non si rende conto di cosa sta facendo o è un furbo, e quindi è pericoloso”, aggiunge. Il rischio, come segnala nel libro, è l’occupazione di posti di rilievo da parte dei “piromani”.