Nulla è immutabile. Nemmeno l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Ma se in natura ciò che si trasforma risponde a una diversa necessità di sistema, in politica (almeno in Italia ) ciò che muta e si trasforma entra di diritto nella sfera dell’incomprensibile.
La lettera di Berlusconi all’Europa ne è un esempio. La rivoluzione terminologica che sostituisce alla parola “licenziamento” la più aggraziata “flessibilità in uscita” si inchina al diktat europeo e ci fa dire che, ammesso che ci credano, tale riforma (?) ci avvicinerà all’Europa. La quale Europa avrà flessibilità in uscita e in entrata, ma conta anche un sistema di protezioni sociali che il lavoratore italiano si sogna.
Se avessero studiato più a scuola, i nostri legislatori, avrebbero potuto imparare la teoria dei vasi comunicanti: se comprimo i diritti, dovrò aumentare le tutele e le protezioni sociali. Incuranti di questa semplice legge di buon senso, ciò che si profila, al contrario, assume una dimensione schizofrenica per cui si tende a ridurre e cancellare i diritti e al tempo stesso ridurre e disgregare le tutele e il sistema di welfare.
Insomma, contro natura, si vuole comprimere in uno spazio ridotto il liquido che prima ne occupava uno più ampio. Impossibile, verrebbe da dire, se non rischiando la rottura totale del contenitore e la fuoriuscita del liquido.
Il risultato è che si andrà in Europa in merito al tema lavoro e in Africa in merito allo Stato sociale, ma questo non pare preoccupare eccessivamente la nostra classe dirigente. La quale, evidentemente, è convinta che licenziando una persona si possa puntare a creare due posti di lavoro di nuovi. Come non ci è dato di sapere, a meno che non si pensi che un salario è troppo per un solo lavoratore e che per il principio di solidarietà è più corretto dividerlo per due.
Sì, forse è questa la ragione.