La Guinea non dimostra una legislazione in grado di contrastare il traffico di esseri umani”. Il Trafficking in Persons Report, il rapporto annuale stilato dal Dipartimento di Stato americano “è il principale strumento diplomatico per coinvolgere i governi dei Paesi stranieri nella lotta alla tratta degli esseri umani”, come si legge sul sito ufficiale, ed è una fotografia documentata del crimine, utilizzato anche dalle organizzazioni non governative che operano in difesa dei diritti umani. Indica, come nel caso della Guinea, buchi legislativi e denuncia situazioni come quella dell’Ungheria: “Paese di transito e destinazione del traffico sessuale di donne e bambine”. E ancora: “Il governo degli Stati Uniti usa il rapporto per sensibilizzare le altre nazioni a prendere iniziative e misure di prevenzione” con l’obiettivo finale “di assicurare i trafficanti alla giustizia”. I Paesi monitorati sono 184, Stati Uniti compresi.
SCORRENDO il documento, presentato da Hillary Clinton lo scorso giugno, e arrivando al capitolo dedicato all’Italia, il rapporto impietosamente segnala: “During the reporting period, the country’s prime minister was investigated for facilitating child prostitution”: mentre venivano raccolte le informazioni il primo ministro era indagato per prostituzione minorile. Poche righe più sotto viene specificato che “nel febbraio 2011, i giudici hanno fissato la data del processo al primo ministro Berlusconi per il presunto sfruttamento sessuale di una minorenne marocchina”. L’Italia vanta il triste primato di veder comparire nel rapporto il nome del presidente del Consiglio, coinvolto direttamente in un caso specifico, perché a scorrere la relazione del Dipartimento di Stato non si trovano altri leader di nazioni chiamati in causa direttamente, nessuna traccia di primi ministri e presidenti di Paesi più pesantemente coinvolti nel traffico di esseri umani. Ma Berlusconi sì.
E, quando l’onta pare finita, continuando a scorrere il rapporto, ci si imbatte di nuovo in “traffici” che riguardano l’Italia: nel “capitolo Libia”. Il nome dell’ormai defunto Muammar Gheddafi non compare, a differenza di quello di Berlusconi, ma è proprio l’amicizia tra i due governi ad essere il problema: “Le organizzazioni internazionali denunciano che le condizioni dei centri di detenzione sono peggiorate notevolmente dall’accordo di pattugliamento navale tra Italia e Libia, datato maggio 2009”.
PERCHÉ i migranti sono rimandati indietro senza che venga accertato se si tratta di vittime di traffici”. E anzi “le autorità libiche permettono pestaggi e torture nei confronti di chi è rimandato indietro dall’Italia”. Berlusconi è in compagnia del deposto leader tunisino Ben Alì, anche lui indicato con nome e cognome, non come persona coinvolta direttamente nel traffico, ma perché “sotto il suo regime non sono state mai adottate sufficienti misure di contrasto alla tratta di esseri umani”.
da il Fatto Quotidiano del 29 ottobre 2011