Molti esperti guardano con perplessità alle stime dal manager del Lingotto. Che ha molto denaro in cassa, eppure i debiti continuano a salire
“I numeri parlano da soli”. Collegato da Houston con una platea di analisti di tutto il mondo, ieri Sergio Marchionne ha salutato con entusiasmo i conti di quello che ha definito un trimestre “incredibile” per Chrysler. Vendite, ricavi e profitti in aumento: vista dall’America la situazione sembra più che incoraggiante per il manager con il maglioncino nero, che giovedì si è permesso di rispedire al mittente senza tanti complimenti la richiesta di chiarimenti sul piano “Fabbrica Italia” inviata dalla Consob una settimana fa.
Preso dall’entusiasmo, il capo del Lingotto ha confermato anche gli obiettivi commerciali del gruppo per quest’anno e per il prossimo. Quindi nel 2011 Fiat dovrebbe riuscire a vendere 4,2 milioni di veicoli, tra auto e furgoni. Possibile? A giudicare dai dati disponibili l’impresa sembra piuttosto difficile. A voler essere ottimisti si potrebbe arrivare a quota 4 milioni, che sarebbe già un gran progresso rispetto ai poco meno di 3, 7 milioni raggiunti nel 2010. Per fare più di 4 milioni, servirebbe forse la bacchetta magica. Questo, almeno, è quanto si può prevedere sulla base dei dati al momento disponibili. Nei primi nove mesi dell’anno, infatti, i marchi della casa torinese sono arrivati a vendere un milione e 547 vetture, in calo dell’ 1, 7 per cento. Chrysler invece corre a tutta velocità, ma non è andata oltre un milione e 468 mila consegne. In totale fanno poco più di tre milioni da gennaio a settembre. Per mantenere le promesse fatte a più riprese da Marchionne al mercato, servirebbe una straordinaria volata finale.
TUTTO è possibile, ma al momento la gran parte degli analisti resta perplessa. Così come ha suscitato una certa sorpresa la crescita dell’indebitamento (industriale e finanziario) del gruppo, che nel terzo del trimestre ha toccato gli 8, 7 miliardi al netto della liquidità in cassa. Un aumento di quasi il 40 per cento rispetto a giugno. A fine 2010 i debiti erano ancora più bassi, e di molto: 2, 7 miliardi. Conti alla mano, l’indebitamento è quasi triplicato nel giro di nove mesi. Il boom si spiega in parte con gli impegni legati all’esborso di 1, 4 miliardi per l’acquisto delle azioni Chrysler controllate dal Tesoro americano e dal Canada. Nell’ultimo trimestre sono anche aumentati gli investimenti, pari a 1, 6 miliardi, cioè più della metà di quelli realizzati nell’arco dei nove mesi del 2011.
L’incremento dei debiti resta comunque notevole, a maggior ragione se si considera che il gruppo Fiat tiene in cassa una gran quantità di denaro liquido, addirittura 18 miliardi a cui vanno aggiunti 2, 7 miliardi di linee di credito non utilizzate. In totale si arriva alla bellezza di 20, 7 di miliardi di attività considerate facilmente liquidabili. Alla fine del 2010, senza Chrysler, le disponibilità liquide superavano di poco i 12 miliardi. In sostanza, ricorrendo ai soli profitti dell’attività produttiva, il gruppo con base tra Torino e Detroit non è in grado di finanziare gli investimenti. E infatti da gennaio a settembre ha “bruciato cassa” (come si dice in gergo tecnico) per circa un miliardo. Per dirla in parole povere, servono soldi per far fronte alle esigenze della produzione. Marchionne, però, ha fin qui preferito non metter mano all’abbondante liquidità in cassa.
COME DIRE che il manager è seduto sopra una montagna di denaro, ma preferisce farselo prestare. Nei mesi scorsi il gruppo ha anche collocato obbligazioni per 1, 5 miliardi. Un’operazione onerosa, per effetto dei rating poco brillanti di Fiat e del generale rialzo dei tassi in questi mesi di turbolenza finanziaria. Proprio questa apparente contraddizione tra il denaro in cassa e l’aumento dell’indebitamento finisce per destare le perplessità degli analisti. Anche perchè i debiti costano. Nei primi nove mesi del 2011 la sola Fiat (Chrysler esclusa) ha pagato oltre 500 milioni di euro di interessi, con un aumento di circa il 40 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
IL COSTO dei prestiti si è quindi mangiato più della metà dei profitti industriali della Fiat pari a circa 900 milioni. Di fronte alle domande degli analisti, Marchionne ha però più volte spiegato che l’alto livello della liquidità era da considerare come una sorta di tesoretto accantonato in vista di possibili difficoltà nel futuro prossimo. Fin qui le spiegazioni del capo del Lingotto, che però non è riuscito a dissipare i dubbi degli addetti ai lavori. Anche perchè nelle pieghe del bilancio spuntano nuove sorprese. Nell’ultima relazione trimestrale si scopre per esempio che Fiat ha perso 115 milioni per la svalutazione di un contratto derivato (equity swap) collegato (recita il comunicato stampa) a non meglio precisati “piani di stock option” di Fiat. Le stock option sono i premi in azioni distribuiti ai top manager del gruppo. Premi costosi, a quanto pare.
da il Fatto Quotidiano del 29ottobre 2011