Gli ultimi anni di vita di Coopcostruttori sono stati “la cronaca di una morte annunciata”. È l’epigrafe che Giovanni Consorte scrive per il colosso delle cooperative di costruzioni di Argenta nel lontano 1997. Di lì a sei anni l’azienda entrò in amministrazione straordinaria, portandosi dietro un buco di oltre un miliardo di euro.
Al processo contro gli ex vertici di Coopcostruttori parla Consorte. L’ex presidente della cooperativa Giovanni Donigaglia e il suo vice Renzo Ricci Maccarini lo chiamano in causa come il responsabile numero uno, insieme a Legacoop, del mancato salvataggio della cooperativa. Di più. Per Donigaglia lui “è l’uomo che mi ha ammazzato più di tutti. È lui la bestia nera”.
Il manager ex Unipol deve spiegare perché Finec, la finanziaria legata al gruppo bancario, non intervenne in due distinte occasioni, 1997 e 2003, per appoggiare i tentativi di risollevare le sorti della società edile. Nel ’97 lui era presidente e ad della Finanziaria controllata da Unipol. “Fummo interessati dai vertici di Legacoop – spiega -. Ci venne chiesto di esaminare la situazione economiche di Coopcostruttori per valutare una richiesta di aiuto”. Donigaglia si aspettava un intervento, ma “non potevamo farlo al buio”. Era necessaria una analisi preventiva dello stato di salute dell’azienda. Anche perché nel mondo cooperativo “giravano rumors sul grave stato di difficoltà della cooperativa ferrarese”. Siamo nell’autunno del ’97.
I collaboratori di Consorte esaminarono le carte. “Ne emerse una situazione drammatica dal punto di vista finanziario e patrimoniale – ricorda Consorte -, con un indebitamento elevatissimo, di oltre 240 miliardi di vecchie lire. Il rapporto tra patrimonio netto, 58 miliardi, e capitale investito, 365 miliardi, era assolutamente sproporzionato. I 10 miliardi prospettati come aiuto da parte nostra sarebbero stati una goccia nell’oceano. Era necessario un piano di ristrutturazione organico per risollevarne le sorti”.
Tutto questo fu incluso in un report, che venne illustrato nel corso di una riunione con i vertici regionali e nazionali di Legacoop, alla presenza di Donigaglia e del vice Ricci Maccarini. “Venne posto il problema di poter sviluppare una proposta di rinnovamento che partisse dalle dimissioni del cda. Serviva una ristrutturazione organica, altrimenti quella della Coopcostruttori sarebbe stata la cronaca di una morte annunciata”. Tutti furono concordi con le misure di salvataggio, tranne Donigaglia, “che sosteneva come la situazione fosse ancora gestibile e che l’avrebbe portata avanti lui anche senza di noi”.
Si arriva alla fase due. Siamo nel 2002 e Giuseppe Maranghi, il super manager chiamato dalla Lega, tenta la carta del piano Cofiri per salvare l’azienda dal fallimento: un prestito ponte di 30 milioni di euro garantito dalle assicurazioni. “Incontrai Gilberto Gabrielli e Maranghi che mi chiesero se Unipol era interessata – è la testimonianza di Consorte -. Risposi di no, non erano operazioni che potevamo avvallare senza adeguate garanzie”. Quel piano, però, dice di non averlo mai visto.
Donigaglia e Ricci Maccarini hanno memorie diverse di quegli episodi, me nemmeno il successivo confronto a tre, chiesto e ottenuto in aula, sposta di una virgola le rispettive posizioni. Tanto che hanno gioco facile gli avvocati di parte civile Maruzzi, Marcello e Azzalli nel commentare come la testimonianza di Consorte confermi la visione di “una cooperativa che produceva debiti in progressione e bruciava denaro. Per ipotizzare un salvataggio era indispensabile cambiare completamente pelle, sostituendo Donigaglia e i dirigenti e modificando radicalmente la strategia aziendale. Questa era la realtà della società, e l’averla taciuta e nascosta da parte dei dirigenti ha contribuito a perpetrare l’inganno nei confronti dei soci e a carpirne la fiducia affinché continuassero a finanziare la cooperativa”.