Ilfattoquotidiano.it intervista uno degli autori di manga più famosi e oggi ospite d'onore al Lucca Comics & Games. Taniguchi racconta la sua dura vita d'autore: "Faccio 30 o 40 tavole al mese, sei giorni a settimana"
In un suo libro del 2008, “Uno zoo d’inverno” (Rizzoli), Jiro Taniguchi racconta la dura vita del mangaka, l’autore di fumetti giapponesi, operaio della creatività che deve produrre fumetti con gli stessi ritmi di Charlie Chaplin in Tempi Moderni, disegnando tutta la notte, senza weekend o pause, giusto qualche serata alcolica prima di collassare con i colleghi sulla soglia dell’ufficio. Anche ora, a 64 anni, che si è guadagnato una notorietà internazionale, ospite d’onore dell’edizione in corso dell’evento fumettistico più importante d’Italia, Lucca Comics & Games, Taniguchi racconta di avere ancora una produttività da robot dell’arte: “Faccio 30 o 40 tavole al mese, sei giorni a settimana, per 8 ore al giorno sto al tavolo da disegno, ne tengo 8 per dormire e 8 per il tempo libero, pasti inclusi. Ma rispetto ad altri periodi lavoro decisamente meno”; racconta a ilfattoquotidiano.it. Anche perché adesso ha diversi assistenti che lavorano per lui (che, nella divisione nipponica del lavoro fumettistico, curano gli sfondi e i dettagli secondari).
L’elenco delle opere di Taniguchi ormai è sterminato. In Italia al momento lo pubblicano tre editori, la Panini Comics che sta ristampando le sue opere più importanti in una collana dedicata (le ultime sono “Tokyo Killers”, “Blanca” e “I cani degli dei”) e Rizzoli Lyzard, che ne pubblica diversi volumi all’anno (in uscita “Privamevera”, con il francese Jean Luis Morvan). Più Coconino Press, che ha in catalogo tra l’altro la sterminata epopea storica “Ai tempi di Bocchan”. Lucca Comics ha scelto di celebrare Taniguchi, dedicandogli anche una mostra, “L’uomo che racconta”, con questa motivazione: “Autore completo capace di passare con una costante padronanza dei propri mezzi dal solenne romanzo storico alla struggente vicenda intimista, dal dinamico racconto d’avventura alla pacata confidenza autobiografica, è unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori protagonisti del fumetto mondiale”. Ilfattoquotidiano.it, grazie alla mediazione della Panini, è riuscito a fargli qualche domanda, cosa non scontata visto che Taniguchi pur essendo assai più noto in Europa che in Giappone e pubblicato in decine di Paesi da questo lato del mondo, non parla alcuna lingua occidentale.
Non fosse per i tratti somatici, Jiro Taniguchi, solidi baffi grigi e occhi divertiti, potrebbe sembrare un reduce della rive gauche parigina, forse ha assorbito anche nell’aspetto qualcosa del Paese che gli ha regalato la celebrità: “Tuttora non so spiegarmi bene perché i miei manga abbiano tanto più successo in Europa che in patria, forse è proprio perché hanno un sapore molto giapponese che attirano gli europei. O forse dipende dall’influenza che ha avuto la bande dessinée francese agli inizi della mia carriera”. Taniguchi ha lavorato con diversi artisti del fumetto francofono, la collaborazione più illustre è stata quella con Moebius per Icaro (Coconino Press). E ha sempre letto opere occidentali, “tra gli italiani me ne piacciono troppi per elencarli tutti, ma devo citare almeno Giardino, Sergio Toppi, Lorenzo Mattotti e Igort”.
A prima vista non ci potrebbe essere maggiore differenza tra l’attenzione maniacale ai dettagli del fumetto francese, quelle tavole enormi e piene di colori, e la semplicità del lavoro di Taniguchi, rigorosamente in bianco e nero, mai una linea più del necessario, nessun ostacolo visivo alla lettura. Però dalla bande dessinée Taniguchi ha preso la lezione fondamentale: “I disegni sono le armi del mangaka, devono spingere il lettore dentro la storia. Se chi legge grazie a questi armi prova un senso di affinità con la tavola potrà entrare nel fumetto senza difficoltà. Anche quando lavoro penso ai giapponesi come mio pubblico, devo trovare il modo perché i disegni parlino a tutti e suscitino un’emozione universale”.
Lo hanno paragonato alla cosa più simile a Marcel Proust che i fumetti hanno espresso, con il suo eterno ritorno all’infanzia al villaggio a Tottori, nella campagna dove Tokyo è poco più di un miraggio, dove il tempo non passa e quello che conta sono solo la famiglia e i ricordi (da leggere “Al tempo di papà”, un lungo funerale del padre diventa l’occasione per ritrovare le radici). Ma Taniguchi non ha il complesso di inferiorità di certi fumettisti che senza l’etichetta di romanzieri si sentono disprezzati, a lui il dibattito tutto europeo sui graphic novel non interessa: “Io non cerco di fare romanzi grafici, semplicemente manga. Che sono una delle tecniche relativamente nuove per esprimere idee, fondendo testi, disegni e regia, cioè il layout, la scansione tra vignette”. E’ molto più interessato, il maestro di Tottori, al tormento intellettuale degli autori di manga dopo il disastro nucleare di Fukushima, in marzo.
Le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki hanno scavato talmente la psiche dei giapponesi che tuttora i manga ne riportano gli echi, ci sono più funghi atomici nei fumetti giapponesi che in tutti i disaster movie di Hollywood, le esplosioni provocate da poteri incontrollabili, di solito della mente, sono frequentissime. E dopo i fatti di marzo le paure atomiche si sono saldate con quelle, ataviche, della geologia incontrollabile che provoca terremoti e tsunami.
Taniguchi, che sta lavorando a un’opera storica che dovrebbe terminare tra due o tre anni, racconta: “Non penso che l’influenza di Fukushima si vedrà nell’immediato, sui manga. Ma lentamente scaverà il subconscio degli artisti. Io, per esempio, dopo il terremoto e l’incidente nucleare ho scoperto nuove angosce, mi sono trovato a pensare a cose cui non avevo mai penato. Ho meditato a lungo se si potesse ancora fare manga dopo Fukushima. Poi ho capito che disegnare è importante, ancora più importante”.