Una presunta cellula terroristica attiva tra Imola e Ravenna è al centro di un’inchiesta della Procura di Bologna aperta un anno fa e con dodici indagati per associazione eversiva con finalità di terrorismo internazionale. I dodici, sospettati di essere possibili indottrinatori di combattenti jihadisti, sono stati perquisiti giovedì mattina dalla Digos di Bologna.

L’inchiesta, condotta dal pm Enrico Cieri, nasce da un’altra indagine gemella che ha portato alla condanna di sei islamici, colpevoli secondo la decisione della Corte d’Assise d’Appello del 5 maggio scorso, di aver creato nell’imolese una cellula jihadista, capitanata da Khalil Jarraya, “il colonnello”, la quale però non aveva concreti progetti di attentati da mettere a segno in Italia, ma si adoperava per raccogliere denaro per la causa della Jihad e per finanziarie eventuali azioni terroristiche da compiere all’estero. I sei appartenenti alla cellula terroristica, che fu scoperta nel 2007 a Bologna dalla Digos, sono stati condannati per associazione terroristica internazionale e truffa.

Chiusa quell’inchiesta, di cui si occupò il pm Luca Tampieri, la Procura ne ha aperta una seconda, per verificare la posizione e l’operato di alcune persone vicine ai sei condannati. Nomi che già erano emersi negli atti della prima inchiesta, ed anche in alcune intercettazioni.

I dodici attualmente indagati sono stati sottoposti a intercettazioni telefoniche e informatiche per verificare il sospetto che tra di loro si nascondessero possibili reclutatori di combattenti per la Jihad. Anche se i dodici, nel corso delle indagini, si sono mossi con cautela e attenzione, parlando poco al telefono e stando attenti nel comunicare tra loro. Il timore degli indagati, probabilmente, era quello di essere sotto indagine e sottoposti a controlli da parte delle forze dell’ordine, così come lo erano stati i loro connazionali. Tutti e dodici gli indagati sono magrebini e perfettamente insediati nell’imolese, dove vivono da tempo.

Nelle perquisizioni di giovedì mattina, la Digos ha trovato elementi cartacei e video: materiale apologetico della religione islamica e filmati in cui erano riportati addestramenti per ipotetiche azioni di guerriglia. Tutto materiale, però, che si può trovare su internet e scaricare, hanno spiegato gli inquirenti.

Ora l’obiettivo della Procura e della Digos è capire se quel materiale era nella case case dei dodici indagati per uso personale o per fare un’opera di proselitismo e reclutare possibili combattenti per la lotta religiosa. Tesi quest’ultima che ricalca quella della prima inchiesta che ha visto sei condanne in secondo grado, e che viene sostenuta anche in questo caso dagli inquirenti.

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