È ancora presto per dire se a Bruxelles è stato scritto un finale felice al thriller europeo della crisi finanziaria. Quello che è certo è che si è fatto un passo importante e necessario: è stato imposto alle banche un costo adeguato alla gravità della situazione e nello stesso tempo sono state fornite garanzie sulla loro robustezza. Una condizione necessaria, ma non sufficiente: molti dettagli tecnici fondamentali sono ancora da definire e soprattutto è ancora incerto se i Paesi europei, in particolare quelli più deboli come l’Italia, sapranno finalmente avviarsi su un sentiero di crescita permanente.
Dopo un estenuante braccio di ferro, le banche hanno infine ceduto e hanno accettato una ristrutturazione del debito greco, che comporta una perdita del 50 per cento circa, in linea con le valutazioni dei titoli da qualche mese a questa parte. Il debito greco scende così al 120 per cento del Pil, un livello che può essere ragionevolmente stabilizzato. Secondo il Fondo monetario oggi è pari al 166 per cento, quasi 30 punti in più del dato previsto dallo stesso Fondo solo un anno fa (139,3). È la misura più impietosa di quanto ottimisti fossero i piani approntati dal momento in cui la crisi greca è esplosa e soprattutto di quanto fosse sottovalutata la caduta del reddito conseguente a un’ondata senza precedenti di tagli e sacrifici. Ma era molto comodo far finta che il conto potesse essere presentato solo ai cittadini greci e non alle banche che avevano finanziato il loro governo.
A luglio l’Europa aveva strappato alle banche una prima ristrutturazione con una perdita per esse di circa il 20 per cento (forse inferiore secondo i calcoli di molti): troppo poco per essere credibile e infatti da allora è cominciata l’estate più calda delle banche europee. La crisi greca (ma anche di Irlanda e Portogallo) si è rapidamente estesa all’Italia e alla Spagna, facendo schizzare verso l’alto i tassi di interesse e in particolare la differenza (spread) rispetto a quelli tedeschi. Lo spread italiano a 2 anni è passato da circa 2 punti percentuali di gennaio a 4 a settembre (il livello greco di aprile 2010, per intenderci). E a questo punto ovviamente i timori si sono estesi all’intero sistema bancario europeo, che è il principale finanziatore degli Stati. Come sempre nei momenti in cui la crisi precipita, non era realistico pensare che il mercato potesse trovare autonomamente una posizione di equilibrio e in particolare che bastasse un aumento di capitale delle banche per fugare i timori sulla loro robustezza.
Le decisioni di mercoledì agiscono finalmente su entrambi i lati del problema. L’Europa ha dimostrato che c’è una volontà precisa di realizzare finalmente un programma serio di stabilizzazione della Grecia, anche se questo comporta costi non piccoli per le banche dei paesi creditori (Francia e Germania soprattutto). Questo significa una volontà politica di mantenere la Grecia all’interno dell’area dell’euro e dunque di garantire la sopravvivenza dell’Unione monetaria alla crisi più grave finora vissuta. Nello stesso tempo, sotto la regia dell’autorità di vigilanza europea è stata fatta una stima dei nuovi capitali che dovranno essere immessi nelle banche per assorbire le perdite potenziali e si è assicurato che la Bce continuerà a fornire alle banche i fondi necessari in questa difficile fase. Per quanto riguarda i capitali, si tratta di 106 miliardi per le principali banche europee, di cui circa 15 per quelle italiane.
Ma qui cominciano i problemi. Potranno le banche trovare sul mercato una cifra così ingente, più del doppio di quanto hanno raccolto nei primi quattro mesi dell’anno in condizioni ben più favorevoli? Se pensiamo alla situazione italiana non tira certo una buona aria e le fondazioni che sono importanti azioniste di almeno tre di esse non sembrano aver molta voglia di mettere ancora una volta mano al portafoglio. Sarà allora il Fondo europeo (Efsf) a intervenire, cioè il fondo che dovrebbe anche acquistare titoli pubblici sul mercato per stabilizzare la situazione? E in questo caso, avrà sufficienti risorse per essere veramente efficace e stroncare alla base la speculazione?
Si può solo citare il saggio di “Quelli della notte”: “ah saperlo, saperlo”. I dettagli sul potenziamento del fondo sono ancora tutti da definire e ruotano intorno a ipotesi inquietanti di ingegneria finanziaria, molte delle quali non promettono nulla di buono. Bisognerà aspettare almeno metà novembre per dare un giudizio completo. Nel frattempo, l’incertezza fondamentale riguarda la crescita che è la strada maestra per uscire dalla crisi. Un problema comune a tutta l’Europa, ma particolarmente acuto in Italia, per l’incapacità conclamata del governo Berlusconi di approntare misure adeguate. La lettera inviata dal governo Berlusconi non è solo un elenco di pie intenzioni, è l’elenco delle promesse mancate degli ultimi quattro anni: basta pensare a che fine ha fatto la “sferzata” all’economia di primavera. Ma all’Europa questo importa poco: quello che Bruxelles ci chiede è di non creare troppi problemi con il nostro debito pubblico: se questo succede perché tagliamo selvaggiamente la spesa sociale o quella per la salvaguardia del territorio o svendendo pezzi di patrimonio nazionale, poco importa. E già che ci siamo, perché non dare qualche botta anche alle tutele sindacali?
Insomma, non solo è troppo presto per festeggiare gli accordi di Bruxelles: la probabilità che da questi, se non cambia il quadro politico, derivino solo sacrifici e costi per gli italiani, è molto alta. I mercati sono euforici, forse troppo. Noi dovremmo essere più cauti; anzi, dalla parte degli indignati.
Il Fatto Quotidiano, 30 ottobre 2011
Marco Onado
Docente Università Bocconi
Economia & Lobby - 30 Ottobre 2011
Le falle del piano Ue
È ancora presto per dire se a Bruxelles è stato scritto un finale felice al thriller europeo della crisi finanziaria. Quello che è certo è che si è fatto un passo importante e necessario: è stato imposto alle banche un costo adeguato alla gravità della situazione e nello stesso tempo sono state fornite garanzie sulla loro robustezza. Una condizione necessaria, ma non sufficiente: molti dettagli tecnici fondamentali sono ancora da definire e soprattutto è ancora incerto se i Paesi europei, in particolare quelli più deboli come l’Italia, sapranno finalmente avviarsi su un sentiero di crescita permanente.
Dopo un estenuante braccio di ferro, le banche hanno infine ceduto e hanno accettato una ristrutturazione del debito greco, che comporta una perdita del 50 per cento circa, in linea con le valutazioni dei titoli da qualche mese a questa parte. Il debito greco scende così al 120 per cento del Pil, un livello che può essere ragionevolmente stabilizzato. Secondo il Fondo monetario oggi è pari al 166 per cento, quasi 30 punti in più del dato previsto dallo stesso Fondo solo un anno fa (139,3). È la misura più impietosa di quanto ottimisti fossero i piani approntati dal momento in cui la crisi greca è esplosa e soprattutto di quanto fosse sottovalutata la caduta del reddito conseguente a un’ondata senza precedenti di tagli e sacrifici. Ma era molto comodo far finta che il conto potesse essere presentato solo ai cittadini greci e non alle banche che avevano finanziato il loro governo.
A luglio l’Europa aveva strappato alle banche una prima ristrutturazione con una perdita per esse di circa il 20 per cento (forse inferiore secondo i calcoli di molti): troppo poco per essere credibile e infatti da allora è cominciata l’estate più calda delle banche europee. La crisi greca (ma anche di Irlanda e Portogallo) si è rapidamente estesa all’Italia e alla Spagna, facendo schizzare verso l’alto i tassi di interesse e in particolare la differenza (spread) rispetto a quelli tedeschi. Lo spread italiano a 2 anni è passato da circa 2 punti percentuali di gennaio a 4 a settembre (il livello greco di aprile 2010, per intenderci). E a questo punto ovviamente i timori si sono estesi all’intero sistema bancario europeo, che è il principale finanziatore degli Stati. Come sempre nei momenti in cui la crisi precipita, non era realistico pensare che il mercato potesse trovare autonomamente una posizione di equilibrio e in particolare che bastasse un aumento di capitale delle banche per fugare i timori sulla loro robustezza.
Le decisioni di mercoledì agiscono finalmente su entrambi i lati del problema. L’Europa ha dimostrato che c’è una volontà precisa di realizzare finalmente un programma serio di stabilizzazione della Grecia, anche se questo comporta costi non piccoli per le banche dei paesi creditori (Francia e Germania soprattutto). Questo significa una volontà politica di mantenere la Grecia all’interno dell’area dell’euro e dunque di garantire la sopravvivenza dell’Unione monetaria alla crisi più grave finora vissuta. Nello stesso tempo, sotto la regia dell’autorità di vigilanza europea è stata fatta una stima dei nuovi capitali che dovranno essere immessi nelle banche per assorbire le perdite potenziali e si è assicurato che la Bce continuerà a fornire alle banche i fondi necessari in questa difficile fase. Per quanto riguarda i capitali, si tratta di 106 miliardi per le principali banche europee, di cui circa 15 per quelle italiane.
Ma qui cominciano i problemi. Potranno le banche trovare sul mercato una cifra così ingente, più del doppio di quanto hanno raccolto nei primi quattro mesi dell’anno in condizioni ben più favorevoli? Se pensiamo alla situazione italiana non tira certo una buona aria e le fondazioni che sono importanti azioniste di almeno tre di esse non sembrano aver molta voglia di mettere ancora una volta mano al portafoglio. Sarà allora il Fondo europeo (Efsf) a intervenire, cioè il fondo che dovrebbe anche acquistare titoli pubblici sul mercato per stabilizzare la situazione? E in questo caso, avrà sufficienti risorse per essere veramente efficace e stroncare alla base la speculazione?
Si può solo citare il saggio di “Quelli della notte”: “ah saperlo, saperlo”. I dettagli sul potenziamento del fondo sono ancora tutti da definire e ruotano intorno a ipotesi inquietanti di ingegneria finanziaria, molte delle quali non promettono nulla di buono. Bisognerà aspettare almeno metà novembre per dare un giudizio completo. Nel frattempo, l’incertezza fondamentale riguarda la crescita che è la strada maestra per uscire dalla crisi. Un problema comune a tutta l’Europa, ma particolarmente acuto in Italia, per l’incapacità conclamata del governo Berlusconi di approntare misure adeguate. La lettera inviata dal governo Berlusconi non è solo un elenco di pie intenzioni, è l’elenco delle promesse mancate degli ultimi quattro anni: basta pensare a che fine ha fatto la “sferzata” all’economia di primavera. Ma all’Europa questo importa poco: quello che Bruxelles ci chiede è di non creare troppi problemi con il nostro debito pubblico: se questo succede perché tagliamo selvaggiamente la spesa sociale o quella per la salvaguardia del territorio o svendendo pezzi di patrimonio nazionale, poco importa. E già che ci siamo, perché non dare qualche botta anche alle tutele sindacali?
Insomma, non solo è troppo presto per festeggiare gli accordi di Bruxelles: la probabilità che da questi, se non cambia il quadro politico, derivino solo sacrifici e costi per gli italiani, è molto alta. I mercati sono euforici, forse troppo. Noi dovremmo essere più cauti; anzi, dalla parte degli indignati.
Il Fatto Quotidiano, 30 ottobre 2011
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Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Abbiamo bisogno di tenere viva la memoria. Sono state fasi cruciali della nostra storia che non sono state ancora definitivamente chiarite". Lo ha detto Giuseppe Conte intervenendo alla proiezione a Montecitorio del film 'Il delitto Mattarella' a cui sono intervenuti, tra gli altri, il regista Aurelio Grimaldi e il vicepresidente della Camera, Sergio Costa. "Piersanti Mattarella era un allievo di Aldo Moro e interpretava nella Dc la linea del compromesso storico. Gli intrecci con la vicenda Moro sono notevoli. ‘Anche per me è finita’, disse Mattarella come racconta Leoluca Orlando. C’era la piena consapevolezza del fatto che si contrastava anche una precisa linea politica”.
Caltanissetta, 18 mar. (Adnkronos) - "Era il 2016, mancavano pochi giorni all'udienza presso il Tribunale di sorveglianza di Roma, quando per strada, a Latina, fui agganciato da un soggetto che mi chiamò. Io pensavo che avesse bisogno di una indicazione stradale, mentre mi disse: 'Lasciamo perdere Montante, scordatelo. E non ti dimenticare che il 30 maggio hai l'udienza presso la Sorveglianza...'. Mi lasciò lì su due piedi, non mi diede neppure il tempo di avere una reazione. Salì su una Bmw di colore grigio e andò via". A raccontarlo in aula, davanti al Tribunale di Caltanissetta, è il pentito Pietro Riggio sentito, come teste assistito, nel processo per depistaggio a carico di due ex generali dei carabinieri in pensione accusati del reato di depistaggio, gli ufficiali Angiolo Pellegrini, 82 anni, storico collaboratore del giudice Giovanni Falcone, e Alberto Tersigni, 63 anni, entrambi per anni in forza alla Dia. Riggio spiega poi che, a suo avviso, il "soggetto" di cui parla sarebbe stato un uomo vicino ai Servizi segreti.
Secondo la procura di Caltanissetta, rappresentata oggi in aula da pm Pasquale Pacifico, avrebbero ostacolato le indagini della Procura a riscontro delle dichiarazioni del pentito Pietro Riggio, ex agente della polizia penitenziaria poi arrestato con l’accusa di essere legato clan mafiosi. Secondo l’accusa, non avrebbero dato il giusto peso alle rivelazioni di Riggio che avrebbero potuto portare alla cattura dell’allora latitante Bernardo Provenzano e a quelle relative a un progetto di attentato all’ex giudice del pool antimafia Leonardo Guarnotta. Alla sbarra anche l’ex poliziotto Giovanni Peluso, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo la Procura avrebbe agevolato Cosa Nostra favorendo la latitanza del boss corleonese.
Pietro Riggio sarebbe, quindi, stato intimorito poco prima di tornare in carcere, nella primavera del 2016, in merito al possibile coinvolgimento, con le sue dichiarazioni, di Antonello Montante, l'ex presidente di Confindustria Sicilia condannato per corruzione per la rete che aveva creato, con il supporto di politici e ufficiali, per raccogliere informazioni riservate su persone a lui vicine e pentiti.
Il collaboratore di giustizia, rispondendo alle domande del pm Pasquale Pacifico, ha poi ricordato di avere conosciuto il generale Nicolò Pollari, ex numero uno del servizio segreto militare ai tempi del Sismi. "Collaboravo con un ufficio legale, perché l'avvocato era su una sedia a rotelle, e mi occupavo di tutte le incombenze- racconta in aula - Una sorta di segreteria. Poi ho saputo l'avvocato Verdesca era amico personale di Nicolò Pollari perché lo aveva difeso nel processo in cui Pollari era imputato a Venezia". Racconta che Pollari lo avrebbe cercato nello studio di Latina del legale in cui Riggio lavorava.
Roma, 18 mar. (Adnkronos Salute) - La Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) accoglie con interesse l'approvazione definitiva della riforma dell'accesso ai corsi di laurea in Medicina e chirurgia, odontoiatria e Medicina veterinaria e si rende disponibile a collaborare con il ministero dell'Università e della Ricerca (Mur) per l'attuazione delle iniziative di orientamento nelle scuole secondarie superiori. Uno degli aspetti qualificanti della riforma - spiega la società scientifica in una nota - è proprio l'attività di orientamento, che rappresenta un'opportunità concreta per avvicinare gli studenti alle discipline sanitarie, promuovendo la consapevolezza dell’importanza e il fascino di specialità mediche come l'Anestesia e rianimazione. Siaarti ritiene fondamentale sensibilizzare i giovani sulla necessità di coltivare una vocazione verso queste specializzazioni, cruciali per il sistema sanitario e per la gestione delle emergenze ad alta complessità.
"Siamo pronti a offrire il nostro contributo nell'ambito dell'orientamento scolastico - afferma Elena Bignami, presidente Siaarti - affinché gli studenti possano maturare scelte più informate e motivate verso le professioni sanitarie, in particolare quelle dell'area critica". Accanto alle opportunità offerte dalla riforma, permangono tuttavia alcune preoccupazioni. La presidente Siaarti esprime dubbi sulla capacità delle università di garantire una didattica di qualità e un'adeguata formazione pratica con l'incremento degli studenti ammessi. "Numeri così elevati - osserva Bignami - rischiano di compromettere la qualità della didattica frontale e della formazione pratica nei tirocini, con possibili ripercussioni sul livello di preparazione dei futuri medici e specialisti. Non siamo convinti che questo nuovo assetto organizzativo possa realmente garantire un effettivo diritto allo studio e una formazione equa per tutti, soprattutto per la parte pratica".
A destare ulteriori timori è il combinato disposto tra questa riforma e le disposizioni del cosiddetto 'Decreto Calabria' e dei successivi provvedimenti, che consentono ai medici specializzandi, già dal secondo anno di corso, di partecipare ai concorsi per le assunzioni nelle aziende sanitarie. "Se non si pone un'adeguata attenzione alla qualità della formazione - avverte la presidente Siaarti - il rischio è che i giovani medici vedano ridotti non solo gli anni di formazione effettiva, ma anche la loro preparazione a causa del sovraffollamento e della necessità di entrare subito in mondo del lavoro caratterizzato dalla carenza di organico. Ciò - aggiunge - potrebbe avere ripercussioni negative sulla qualità dell'assistenza sanitaria, specialmente nelle discipline ad alta complessità come la nostra".
Siaarti ritiene che sia il momento di aprire una riflessione più ampia sulla durata del percorso formativo in Medicina e Chirurgia e sulla specializzazione. "Potremmo immaginare un corso di laurea in Medicina ridotto a 4 anni, con un percorso di specializzazione della durata di altri 4 anni: i primi 2 senza possibilità di assunzione e gli ultimi 2 con una crescente autonomia professionale - suggerisce Bignami - Questa potrebbe essere una strada per garantire una formazione più mirata e di qualità, evitando il rischio di medici formati in tempi ridotti ma con competenze non adeguate".
Siaarti auspica che i decreti legislativi attuativi della riforma tengano conto di queste criticità e si rende disponibile a un confronto costruttivo con le istituzioni per individuare soluzioni che possano coniugare l'aumento dell'accesso con la necessaria garanzia di qualità formativa.
Gaza, 18 mar. (Adnkronos/Afp) - Hamas ha dichiarato di attribuire la responsabilità dei nuovi raid aerei a Gaza al "supporto politico e militare illimitato" dell'amministrazione statunitense a Israele. "Con il suo illimitato sostegno politico e militare all'occupazione (Israele), Washington ha la piena responsabilità dei massacri e dell'uccisione di donne e bambini a Gaza", ha affermato Hamas in una dichiarazione.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - Intesa trovata nel Pd sul testo della mozione che i dem si apprestano a presentare in occasione delle comunicazioni della premier Meloni in Parlamento in vista del Consiglio Ue. Nel documento, che ora viene sottoposto all'Assemblea dei Gruppi dem, sono confermate le critiche al piano ReArm Eu con un via libera al 'Libro bianco sulla difesa'. Nessun riferimento esplicito a un no al piano di Difesa Ue, invece.
Caltanissetta, 18 mar. (Adnkronos) - E’ ripreso all’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta la deposizione del pentito Pietro Riggio, sentito come teste assistito, nel processo a carico di due ex generali dei carabinieri in pensione accusati del reato di depistaggio. Alla sbarra ci sono gli ufficiali Angiolo Pellegrini, 82 anni, storico collaboratore del giudice Giovanni Falcone, e Alberto Tersigni, 63 anni, entrambi per anni in forza alla Dia. Secondo la procura di Caltanissetta, rappresentata oggi in aula da pm Pasquale Pacifico, gli ufficiali avrebbero ostacolato le indagini della Procura a riscontro delle dichiarazioni del pentito Pietro Riggio, ex agente della polizia penitenziaria poi arrestato con l’accusa di essere legato clan mafiosi. Secondo l’accusa, non avrebbero dato il giusto peso alle rivelazioni di Riggio che avrebbero potuto portare alla cattura dell’allora latitante Bernardo Provenzano e a quelle relative a un progetto di attentato all’ex giudice del pool antimafia Leonardo Guarnotta.
Alla sbarra anche l’ex poliziotto Giovanni Peluso, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo la Procura avrebbe agevolato Cosa Nostra favorendo la latitanza del boss corleonese. Già nella scorsa udienza Riggio aveva deposto per diverse ore.
Gaza, 18 mar. (Adnkronos/Afp) - Hamas ha confermato la morte del capo del suo governo nella Striscia di Gaza, Essam al-Dalis, tra i funzionari che sono stati uccisi durante un'ondata di attacchi israeliani sul territorio palestinese. "Questi leader, insieme alle loro famiglie, sono stati martirizzati dopo essere stati presi di mira direttamente dagli aerei delle forze di occupazione sioniste", si legge nella dichiarazione del gruppo islamista, che nomina tra le vittime anche il capo del ministero dell'Interno Mahmud Abu Watfa e Bahjat Abu Sultan, direttore generale del servizio di sicurezza interna.