Dopo la lettera di Barroso e Van Rompuy, anche il Fondo monetario internazionale dice di dovere "rivedere i propri strumenti". Sul piatto il ruolo dei paesi emergenti come Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, che potrebbero scambiare l'aiuto alle economie del vecchio continente con un ruolo di primo piano nel gotha finanziario
L’allarme, insomma, resta elevato. Anche perché qualsiasi eventuale ripresa dei mercati finirebbe per essere interpretata più come il naturale rincorrersi di qualche rimbalzo piuttosto che come una nuova improbabile iniezione di fiducia. Come a dire che nella migliore delle ipotesi, quindi, si potrà assistere ad un altalena degli indici, sintomo, quest’ultima, di un mercato su cui pesano ancora troppe questioni irrisolte. La prima, tanto per dirne una, riguarda il ruolo del Fondo monetario internazionale, chiamato in causa anche nella lettera rivolta ai colleghi del G20 firmata domenica da Barroso e Van Rompuy. Il Fmi, si scopre oggi, starebbe studiando da almeno un anno un possibile piano per isolare Italia e Spagna dal rischio contagio della crisi dei debiti. Ma in che cosa consista questo progetto non lo sa ancora nessuno. L’organismo internazionale, è noto, si limita solitamente ad iniettare liquidità sottoforma di prestiti. Ma una cosa, ovviamente, è intervenire in favore di Nicaragua e Islanda (o al massimo dell’Argentina), un’altra soccorrere rispettivamente la quarta e la quinta economia di eurolandia.
Non stupisce, dunque, il contenuto della nota ufficiale con cui il Fondo ha risposto alle domande sempre più pressanti degli osservatori annunciando il suo attuale impegno per “un’operazione di revisione degli strumenti di finanziamento a sua disposizione”. Come a dire che anche il Fmi ha bisogno di ulteriore liquidità e visto che i contribuenti tradizionali, tra cui Usa, Gran Bretagna e persino la Germania, non hanno intenzione di mettere ancora mano al portafoglio ecco che l’invito si rivolge soprattutto agli “emergenti”. Cina, India, Brasile, Russia e Sudafrica percepiscono quindi la grande opportunità: sì a un intervento che stabilizzi l’economia mondiale ma nessun soccorso “gratuito”. Tradotto: i capitali offerti dalle nuove potenze economiche non serviranno soltanto a calmare i mercati tradizionali, ma permetteranno ai “Brics” anche di acquistare definitivamente un posto di privilegio nei massimi organismi finanziari del Pianeta. Affrontando con ben altro potere le annose discussioni sulle barriere commerciali che da sempre li contrappongono al blocco delle economie consolidate.
In attesa che a Cannes si facciano importanti passi avanti, l’attenzione si concentra ora sull’Italia, vera e propria chiave di volta della tempesta. Un tempo, di fronte all’aggravarsi della crisi in Grecia, Irlanda e Portogallo, l’Europa aveva preso a guardare con timore alla Spagna, il Paese messo peggio tra quelli “troppo grandi per essere salvati”. Solo che nel frattempo la ruota è girata e, anche se tuttora Madrid non ha risolto i suoi problemi, gli investitori hanno iniziato a preoccuparsi soprattutto del nostro Paese. Lo dimostra la crescita dei rendimenti sui titoli decennali della Penisola, da tempo, ormai, superiori a quelli degli omologhi spagnoli. Negli ultimi giorni, gli interessi sui Btp hanno varcato la soglia psicologica del 6% scatenando la tensione degli analisti. A quota 7%, è noto, Atene, Dublino e Lisbona hanno chiesto un aiuto esterno. E quest’ultimo, è altrettanto noto, è sembrato funzionare, per ora, soltanto in Irlanda.
Nella sua ultima lettera indirizzata a Roma, l’Europa ha messo sul tavolo le cifre: l’Italia, si è detto, dovrà riportare il suo debito a livelli sostenibili, non oltre il 113% del Pil entro il 2014. Fatti i conti si tratta di risparmiare 35 miliardi all’anno per tre anni, più o meno quanto previsto alla fine del 2010 dalla bozza del Patto di Stabilità Ue in cui, per la prima volta, si era chiesto ai Paesi membri di tenere sotto controllo non solo il deficit (come previsto dal vecchio trattato di Maastricht) ma anche il debito, di cui veniva fissata una quota obiettivo pari al 60% del prodotto nazionale. L’operazione è particolarmente complicata anche perché presuppone che la crescita, già modesta, non rallenti ulteriormente. Come se non bastasse, resta forte il timore di una nuova ondata di speculazione internazionale che replichi quanto già prodotto in estate. Allora, le ondate ribassiste vennero soprattutto dai fondi statunitensi, ed è probabile che in sede G20 l’argomento torni ad animare la discussione sulle proposte di un giro di vite regolamentare promosso dall’asse Merkel-Sarkozy. Anche se, come ha spiegato alla Reuters un alto funzionario del governo tedesco, “nell’ambito della regolamentazione del mercato finanziario, non è probabile che il G20 arrivi a quello che la Germania aveva sperato”.