Quando, nell’ottobre del 1975, Pasolini propose l’abolizione temporanea della scuola media dell’obbligo e della televisione, volle citare un quartiere romano, il Quarticciolo, un luogo perfetto per narrare com’era Roma quando il chiarore delle canottiere brillava sotto il bianco delle camicie davanti alla chiesa di San Felice da Cantalice, una chiesa identica a un vecchio salvadanaio, anzi, a un “dindarolo” dell’Ina-Casa. Il Quarticciolo lo ritroveremo in Accattone.
Quanto alle prime apparizioni romane di Pasolini, torna alla memoria una foto scattata alla trasteverina “Festa de Noantri” del 1957, dove c’è un trentenne finalmente cittadino di Roma, che mostra la propria magrezza. Un’amica di allora, Adele Cambria, racconta: “Goffredo Parise mi disse: stasera ti faccio conoscere un grande poeta mio amico. Così incontrammo questo personaggio timido, con la sua giacchettina di un verde stinto, in una primavera ancora freddolosa, a Monteverde Vecchio, ma prendemmo il tram per andare nella borgata in cui Pier Paolo aveva insegnato appena arrivato a Roma.”
Sono gli anni delle tavolate fra Trastevere e piazza del Popolo. Con Pasolini c’erano Laura Betti, Elsa Morante, Alberto Moravia, Carlo Levi, Sandro Penna… Cambria, nel 1960, sarà pure fra gli attori di Accattone, il primo film di PPP. Dirà: “L’unica nota stonata era il cinismo con cui Franco Citti-Accattone trattava Pier Paolo, i ragazzi di vita ostentavano arroganza e sfottò, tipici forse del sottoproletariato romano. Così, alla fine osai chiedergli: ‘Pier Paolo, non ti pare di rubare vite che non ti appartengono?’ E lui, col suo sorriso mite, mi rispose: ‘Tutto quello che un autore ruba, lo paga a caro prezzo’”.
Ancora il cinema, il cielo della Tuscolana sembra il più grande fra tutti i cieli mai visti in città. Torna alla memoria Mamma Roma, dove la basilica di San Pietro è sostituita dalla cupola della chiesa di Don Bosco, come in un ideale scambio di fondali. Nel film, Anna Magnani da una finestra del quartiere di Cecafumo mette gli occhi nel mondo, oltre i lotti bianchi dell’Ina-Casa, e trova la cupola di Don Bosco, lì PPP sembrava dirci che la Roma parrocchiale monumentale, ciclopica, santa, assoluta non finisce a San Giovanni, si incarna nelle sue borgate.
Anche la borgata di Donna Olimpia deve la sua mitologia a Pasolini. Ragazzi di vita, il romanzo che, come in un binocolo, ne inquadra i “Grattacieli”, le costruzioni più imponenti. Chi conosce la storia romana del nostro scrittore, sa che questi dopo avere abitato accanto al carcere di Rebibbia, in via Giovanni Tagliere, prese un piccolo appartamento in affitto a Monteverde, in via Fonteiana.
Giù nell’atrio, i proprietari del palazzo, in occasione del trentesimo anniversario della scomparsa, nel novembre del 2005, hanno fissato una targa di marmo con i versi “Com’era nuovo nel sole Monteverde Vecchio!” già utilizzati per la targa apposta dal Comune di Roma in via Giacinto Carini, la seconda e più nota residenza monteverdina di Pasolini. Perfetti, certo, eppure, se solo i responsabili del condominio fossero andati a cercare fra le Ceneri, scritte proprio in quel luogo, sarebbero saltate fuori altre sue parole dove la strada trova se stessa e il proprio magnificat: “Ed ecco la mia casa, nella luce marina/ di via Fonteiana in cuore alla mattina”.
Come dimenticare la leggendaria rivolta di tisici scoppiata al sanatorio “Forlanini” nel 1954? Pasolini la racconta in Una vita violenta, l’altro suo romanzo dedicato alle borgate romane con al centro la storia di Tommaso Puzzilli, ma anche i celerini degli anni Cinquanta che dopo il terzo squillo di tromba si accanirono sugli ammalati a colpi di manganelli d’ordinanza, trattandoli così da “porci comunisti”.
Il viso di Rossana Di Rocco è stato, e ripetutamente, il volto, l’icona dell’angelo che Pasolini ha voluto nei suoi film. Nel 1963 Rossana, non ancora dodicenne, abitava dove adesso sorge l’Hotel Sheraton, fra la prospettiva dell’Eur e la campagna piena, assoluta. Pasolini, lì di passaggio, non poté fare a meno di notare la ragazzina dai grandi occhi chiari, una creatura che sembrava custodire l’assoluto nel suo sguardo: l’innocenza dell’infanzia e forse perfino l’intuizione di un eros a venire, una creatura pronta a mostrare perfino l’ambivalenza maschile.
La dodicenne Rossana Di Rocco sarà l’angelo del Vangelo secondo Matteo, e poi, poco tempo dopo, una delle figlie del poveraccio Stracci ne La ricotta, così come appare in Uccellacci e uccellini, nel paesaggio di “un mondo in ricostruzione” del Trullo, una borgata che spingendo lo guardo oltre i lotti del Villaggio Ciano, superando Monte Cucco, Parrocchietta con il suo cimiterino magico di campagna e la Portuense, rimette nuovamente al centro degli occhi l’Eur, la chiesa “fascista” di San Pietro e Paolo, e forse perfino gli edifici residenziali di via Eufrate, luoghi dove risiedono “i signori”, e Pasolini insieme a loro fino al giorno della sua morte quel 2 di novembre del 1975, vicino di casa dei nuovi ceti appena emigrati via dal centro storico.
Il volto di Rossana Di Rocco sembra emergere, fra i mille e ancora mille volti del cinema di Pasolini, non c’è nessuno che non ne abbia memoria, basterà accennare alla ragazzina che indossa le ali di cartone fra le case ancora da intonacare, vestigia di un finito edilizio, di via Monte delle Capre, dove il regista, fra sfasciacarrozze e pollai, ha voluto che vi fossero, fedeli alla toponomastica di travertino capitolina, le strade che innalzano al cielo della povera fama stellare ora “via Antonio Mangiapasta, scopino” e poi “via Lillo Strappalenzola, scappato de casa a 12 anni”.
Il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2011