Cultura

I Planet Funk tornano con
il “megafrullato” The Great Shake

di Daniele Sanzone

Si chiama “The Great Shake” (Universal, 2011) il nuovo terremoto musicale che arriva dritto dai Planet Funk. Preannunciato dalla scossa electro-dance di “Another Sunrise” che ha accompagnato la nostra estate. “Siamo – spiegano i PF – un megafrullato: ognuno di noi porta dentro la voglia di fare, senza condizionamenti, con totale onestà”. Nell’album non mancano atmosfere più scure ed inquiete come “All Your Love” che apre il disco e il nuovo singolo: “You Remain”. Un album ricco di sorprese per chi ama il sound di Sergio Della Monica, Gigi Canu, Marco Baroni e Alex Neri. I PF dopo un disco decisamente sperimentale come “Static” (Universal, 2006) ritornano con un album sospeso tra gli anni Ottanta, come sintetizza la bellissima title-track, e il suono del futuro; in cui per la prima volta la ricerca sonora della band sembra privilegiare la melodia alle ritmiche.

Il collettivo punta su una nuova voce: il tedesco Alex Uhlmann – ex leader dei Friday Night Heroes –, nell’album che segna, per la band, l’esordio in italiano con “Ora il mondo è perfetto” special guest Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. “Giuliano ha registrato – racconta Gigi – a casa sua con un microfono scadente ma la sua performance era talmente intensa che abbiamo preferito lasciarla così”.

Nel frattempo, i PF rivisitano “These boots are made for walking”, canzone di Lee Hazlewood portata al successo da Nancy Sinatra nel 1966. Una cover che la band ha realizzato per i titoli di coda del primo film di Ivan Cotroneo: “La kryptonite nella borsa” – in concorso al Festival di Roma –, con Valeria Golino, Cristiana Capotondi e Luca Zingaretti.

Come nasce la collaborazione con Giuliano?
Nasce da un rapporto di stima reciproca prima di tutto, poi è capitato che durante la scrittura dei brani per l’album è uscita questa idea musicale che secondo noi poteva interessare Giuliano. Lui è stato entusiasta ed ha interpretato ed arricchito il pezzo con la sua voce e le sue parole ispirate.

The Great Shake segna l’ingresso di un nuovo cantante, come fate a cambiare continuamente voce senza mai snaturare il vostro stile?
Il cambiamento è il filo conduttore della nostra musica. Quello che siamo oggi è il risultato di un lungo processo di crescita ed evoluzione. Ovviamente cambiare voce significa cambiare qualcosa anche musicalmente, la voce è l’elemento più importante e tutto il resto serve a valorizzarla in qualche modo, anche se nel nostro caso molto spesso il pezzo nasce come strumentale e la voce viene inserita dopo.

Nell’originale video del primo singolo “Another Sunris” del disco, vi lanciate da un aereo col paracadute, come è andata?
È stata una bellissima esperienza anche perché arrivavamo dalla registrazione dell’ultimo pezzo dell’album. Dopo giorni e notti in studio siamo usciti e ci siamo ritrovati in aria! Io – parla Marco – avevo già avuto modo di lanciarmi un anno prima. Posso dire che è difficile da spiegare ma è una sensazione molto intensa anche se veloce. Quella stessa sensazione dura nel tempo e a volte riaffiora magari in un sogno… Non è poi così abituale scendere ad oltre 4000 metri e “volare”!

Quanto vi ha agevolato o penalizzato il cantare e apparire come una band inglese in Italia?
Noi siamo partiti dall’Inghilterra e poi siamo arrivati in Italia e in altri paesi come conseguenza del successo ottenuto là. Credo che in Italia questa percezione ci abbia aiutato ad essere visti come una band internazionale anche se all’ottanta per cento italianissima. Mi piace pensare che questa cosa possa essere di stimolo anche per chi sta iniziando una carriera nella musica e, proprio come noi qualche anno fa, sogna di avere un buon riscontro. Certo non c’è niente di facile, ma quando si ha qualcosa di buono in mano non ci sono “barriere”.

The Great Shake esce a distanza di 5 anni dall’ultimo album, in questi anni oltre ai tantissimi live avete lavorato a nuove produzioni. Preferite produrre dischi, altri artisti o suonare live?
Idealmente ci piace fare un po’ tutte queste cose ed ognuna di esse può essere gratificante sia da un punto di vista umano che artistico. Inoltre il muoversi in varie situazioni aiuta a rinnovare un po’ le energie e mantenersi curiosi e ricettivi. Probabilmente l’impatto emotivo del suonare dal vivo davanti ad una folla eccitata che canta la nostra musica è forse l’emozione più potente perché tutto succede in tempo reale e in maniera spontanea. Poi 2000 o 50000 persone che siano, quando si emozionano saltano ballano e cantano, si sentono… E sono un grande spettacolo!

Il nuovo disco così come tutta la discografia dei PF risente molto del suono degli anni Ottanta. Quali sono le vostre influenze musicali?
Sono tante come è giusto e normale che sia. Di certo noi apparteniamo ad una generazione fortunata, nel senso che abbiamo avuto modo di crescere in un periodo ricco di personalità artistiche forti e talentuose che ci hanno permesso di emozionarci ed ispirarci. Non siamo però dei nostalgici, siamo convinti che anche oggi come in ogni periodo storico ci siano tantissime cose buone. Certo è che negli anni 70/80 ci sono stati dei musicisti, cantanti, produttori che hanno raggiunto dei livelli molto alti di ispirazione e che in molti casi sono riusciti ad inventare uno stile se non addirittura un genere musicale sullo slancio della propria visione e personalità artistica. E molti di noi ancora oggi consapevolmente o no attingono da quel mondo. Sta a noi “contemporanei” provare a creare qualcosa di ispirato che possa in qualche modo durare nel tempo.

Avete collaborato con artisti nazionali ed internazionali, quale è stata la collaborazione che ricordate con più piacere e con chi vorreste collaborare?
Si, ci sono state tante collaborazioni e tutte ci hanno dato qualcosa di importante, difficile dire quale più di altre. Io mi posso ricordare – dice Marco – di quando da quattordicenne ballavo i Simple Minds in discoteca a Sarzana (suonati dal mio non ancora amico) Alex Neri e sognavo di fare fuoco e fiamme con la musica. Qualche anno più tardi ci siamo ritrovati in studio a Napoli a scrivere musica con loro! Questo mi ha fatto capire che i “sogni” nella musica e nella vita sono importanti. Visualizzare obbiettivi anche se apparentemente lontanissimi può mettere in circolo una serie di energie che col tempo ci possono aiutare a ritrovarci proprio là dove avevamo sognato di arrivare.

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