Riaprire i bordelli, tassare i guadagni delle prostitute e – di conseguenza – far pagare di più gli “utilizzatori finali”. Tutto per aumentare i fondi dell’amministrazione in un periodo di tagli ai comuni e ai servizi, soprattutto in una città come Torino dove il debito è alto e in due anni non sono arrivati i 78 milioni di euro promessi dal governo. L’idea arriva da Fabrizio Ricca, 25 anni, consigliere della Lega Nord, che ha presentato in Comune un ordine del giorno sulla riapertura delle case chiuse: “Possiamo trovare un modo di fare cassa che non pesi indistintamente sui cittadini onesti che usufruiscono dei servizi base, come trasporti o assistenza”. All’assessore al bilancio Gianguido Passoni, del Pd, “sembra una follia”: “Non la condivido come principio morale e strutturale”, ha spiegato a ilfattoquotidiano.it.

L’idea, un cavallo di battaglia della Lega, sta tornando in auge come strumento per rimpinguare le casse comunali. E non solo in Piemonte. Ad esempio, il capogruppo del Carroccio al consiglio comunale di Udine, Luca Dordolo, il 28 giugno scorso ha proposto di “regolarizzare il fenomeno per renderlo accettabile, dal punto di vista igienico, sanitario e anche fiscale” perché “chi esercita la prostituzione è bene che paghi le tasse”. Tre mesi dopo è il capogruppo dei padani di Desenzano (Bs) Rino Polloni a chiedere il riconoscimento del commercio del sesso “come attività professionale rilevante ai fini tributari (Iva, Irpef) e previdenziali”. Per Ricca questa soluzione dà la possibilità di “risolvere svariati e drammatici problemi, sfruttando i fruitori del mestiere più antico del mondo e controllando degrado, illegalità e violazioni dei diritti umani”. La proposta di riaprire le case chiuse si appoggia sul disegno di legge presentato da Carolina Lussana alla Camera il 30 aprile 2008: “Vogliamo che il Comune prenda una posizione forte, anche per stimolare Roma a discutere una proposta di legge presentata dalla nostra parlamentare nel 2008, che vieterebbe gli atti osceni legati alla prostituzione per strada, creando una regolamentazione per questo settore che nessuno vuole vedere, ma che è fin troppo presente nelle nostre strade cittadine”. A sua volta questo ddl si rifà al disegno di legge governativo, presentato il 20 dicembre 2002 e firmato Fini-Bossi-Prestigiacomo, per vietare la prostituzione in strada e regolamentare quella nelle abitazioni private.

I leghisti piemontesi ci tengono a precisare che non si tratta di una boutade, come hanno sostenuto politici e giornali locali. “Il Comune di Torino può avere un ruolo da protagonista in una riforma necessaria e che porterebbe grossi introiti allo Stato e sul territorio”, dichiara Ricca. Nonostante il Carroccio si ponga a difesa della cristianità, il consigliere Roberto Carbonero spiega che non bisogna fare i bacchettoni: “Sarebbe necessario, visto che il mondo economico si denota sempre di più di caratteri amorali, non fare i falsi moralisti e affrontare di petto il problema”. Poi si rivolge proprio ai credenti: “Nella proposta i cattolici potrebbero trovare una soluzione alle terribili condizioni in cui tante ragazze vengono tenute e i laici potrebbero contribuire a un miglioramento della vivibilità e del decoro urbano”. Tuttavia, oltre ai motivi morali, l’assessore Passoni preferisce valutare quelli tecnici: “Il tema dell’imposizione locale va collegata ai beni che esistono sul territorio e sul patrimonio. Questa proposta leghista è un escamotage, una provocazione, che punta su un altro piano”, dichiara chiudendo ogni prospettiva.

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