La disoccupazione aggredisce giovani e donne. In queste ore tremende per la nostra economia balzano in primo piano sulle agenzie e nelle prime pagine dei giornali online i dati relativi al tasso di disoccupazione giovanile fotografati dall’Istat. Si parla del 29,3% tra i giovani, il dato peggiore da gennaio di sette anni fa. Mentre la percentuale complessiva di chi non ha un impiego arriva al drammatico 8,3%, è tra gli under 24 che tutto si aggrava: uno su tre è senza occupazione.
I giovani sono stati tirati in ballo in queste ore da due politici italiani di opposto schieramento, come ha riportato in un suo post anche Eleonora Voltolina: da un lato il segretario Pd Pierluigi Bersani che ha apostrofato Matteo Renzi, sindaco di Firenze, suggerendogli di “non scalciare”. Dall’altro lato Silvio Berlusconi che controbatte al presidente dei giovani imprenditori di Confindustria definendolo “ragazzotto industriale”.
Irene Tinagli è intervenuta su La Stampa con un corsivo dal titolo: “Se l’opzione generazionale non arriva mai”. Afferma Tinagli: “Possibile che non esista una chance di ricambio, un’opzione generazionale in grado di farci riprendere il passo col mondo? Fino ad oggi l’Italia non sembra aver maturato gli strumenti per una tale opzione. I pochi giovani che riescono a farsi spazio tra i vari Berlusconi, Bersani, Bossi o D’Alema sono stati accuratamente selezionati in modo da neutralizzare ogni possibile cambio sostanziale. E quando capita qualche eccezione, come il caso di Matteo Renzi che ha sfidato i dinosauri del Pd, viene isolata e ignorata come una cellula impazzita, un cancro da estirpare”.
Continuo a non riconoscermi in questa diatriba giovani vs vecchi. Anche (e soprattutto) alla luce di questi dati drammatici. Perché insistere con questa dicotomia, perché esasperare i toni di un conflitto generazionale che forse non è la causa del malessere, e certamente non ne racchiude l’antidoto? Oggi più che mai noi giovani avremmo invece bisogno di fare squadra, e quindi anche staffetta, di riuscire a prendere il meglio portando un vantaggio competitivo in politica, nell’economia, nella gestione della “cosa pubblica” o nella semplice quotidianità. Abbiamo bisogno di punti di riferimento, non di opzioni o peggio ancora di “quote giovani”. A noi giovani mancano modelli, oltre che lavoro, e continuiamo ad essere disorientati da una bussola impazzita.
Ho appena rivisto un bellissimo colloquio che Rita Levi Montalcini ha avuto con sei ricercatrici provenienti da ogni parte del mondo e che abbiamo trasmesso sul web “a rete unificata” su centinaia di portali e anche su ilfattoquotidiano.it in occasione del suo compleanno. Alla domanda posta da una giovane ricercatrice andata via dall’Italia sul suo possibile ritorno, il premio nobel risponde decisa: “Potrai farlo perché in Italia ci sono persone eccellenti, gli italiani sono molto intelligenti. Occorre agire in maniera eticamente corretta. E’ importante come ci si comporta e come si affrontano le difficoltà”.