I padri dell’Unione economica e monetaria europea, alcuni dei “mostri sacri” della politica europea della seconda metà del secolo scorso, ebbero l’idea che l’integrazione monetaria di parte dell’Europa avrebbe costituito un passaggio intermedio che facilitasse il percorso d’integrazione, intrapreso vari decenni prima, con l’unione politica del continente come obiettivo finale.
Vi erano anche degli interessi economici potenti che spingevano in tal senso. La Germania vedeva nell’unione monetaria il mezzo per facilitare le sue esportazioni in Europa, ridurre la competizione da parte di paesi che utilizzavano le “svalutazioni competitive” del tasso di cambio per spingere le proprie esportazioni, ed evitare l’eventuale problema di un marco troppo forte che pesasse sulla competitività tedesca nel mondo.
I paesi cui oggi si fa spesso riferimento con l’acronimo “Pigs”, cioè Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, vedevano un grosso vantaggio nella prevedibile diminuzione dei tassi d’interesse sui rispettivi debiti pubblici e a cascata nelle loro economie. Il motivo è che sarebbe venuto meno il rischio di cambio sul debito di questi paesi. Inoltre, i mercati avrebbero richiesto rendimenti sostanzialmente inferiori a prima, in virtù dei vincoli di finanza pubblica ai quali gli stati si assoggettavano aderendo al trattato di Maastricht.
L’unione monetaria avrebbe però limitato sostanzialmente la libertà di azione ai paesi aderenti. Questi non avrebbero più potuto elaborare la politica monetaria, per esempio il rialzo o il ribasso dei tassi d’interesse da parte delle proprie banche centrali. Ci sarebbe stata una politica monetaria per tutti. Ad esempio, se un paese cresce tanto e ha bisogno di tassi d’interesse alti, mentre un altro paese cresce poco e ha bisogno di tassi d’interessi bassi, viene a crearsi un problema, dato che il tasso d’interesse è unico. Inoltre gli stati membri non avrebbero più potuto influenzare il proprio tasso di cambio, che non sarebbe più esistito. Ad esempio, se un paese soffre di un declino della competitività delle proprie produzioni, non può arginare il problema svalutando il proprio tasso di cambio in attesa d’interventi strutturali.
Gli stati avrebbero inizialmente beneficiato di un ribasso dei tassi, come spiegato prima. Se però un governo si fosse trovato in difficoltà nella gestione della propria finanza pubblica, i tassi d’interesse sarebbero probabilmente esplosi, perché sarebbe mancata la possibilità di “stampare moneta” per finanziare il proprio deficit. Per capirci, una delle ragioni principali per cui gli Stati Uniti, l’Inghilterra e il Giappone pagano tassi d’interesse bassi sul proprio debito, nonostante parametri di finanza pubblica mediocri, consiste nella possibilità che hanno di monetizzare il proprio debito.
Era quindi necessario costruire una forma d’integrazione fiscale, o almeno di coordinamento fiscale, per contrastare questo problema nel suo formarsi. E, se veramente necessario, poter fare dei trasferimenti fiscali dai paesi più forti a quelli più deboli. Ma una forma d’integrazione fiscale, all’epoca indicata come necessaria da molti economisti importanti, non è stata presa in considerazione. D’altronde sembra difficile fare un’integrazione fiscale senza un minimo d’integrazione politica. Invece di procedere secondo logica – cioè stendendo prima un progetto politico che si concretizzasse in istituzioni con base democratica e potere effettivo, poi costruendo una forma d’integrazione fiscale, e infine un’integrazione monetaria – si è fatto l’esatto opposto.
Con risultati disastrosi. Questo progetto di unione monetaria poteva avere qualche possibilità di riuscita se gli stati aderenti si fossero avviati in un percorso di convergenza, sia dal punto di vista della crescita economica sia da quello dei parametri di finanza pubblica. Invece i paesi si sono avviati in un processo di divergenza, e per lungo tempo tutti sono stati a guardare incuranti del ticchettio di una bomba a orologeria.
La divergenza è stata totale. La Germania ha tenuto sotto controllo la propria fiscalità e costruito una piattaforma per esportazioni ad alto valore aggiunto competitive in Europa e nei paesi emergenti. I paesi mediterranei mediamente hanno avuto una crescita stagnante e hanno approfittato dei bassi livelli dei tassi d’interesse per “vivere al di sopra dei propri mezzi”, complici i banchieri incompetenti e/o irresponsabili che hanno concesso loro credito senza tener conto dei rischi. Il parallelo con la situazione negli Stati Uniti è impressionante.
In America si è sopperito a un massiccio trasferimento di produzioni in paesi a basso costo, e a una situazione del consumatore mediamente indebitato, creando una bolla immobiliare sostenuta da tassi d’interesse ridicolmente bassi e dagli oscuri prodotti strutturati che accompagnavano i mutui subprime. Quando la bolla è scoppiata nel 2007, milioni di persone impiegate nelle costruzioni, nelle agenzie immobiliari e nei servizi alle costruzioni, si sono ritrovate senza lavoro, senza contare l’implosione del sistema finanziario mondiale causato dagli strumenti “tossici” legati ai mutui subprime.
In Spagna e in Irlanda i tassi d’interesse eccessivamente bassi hanno favorito un fenomeno di bolla immobiliare simile a quello americano, mentre in Grecia hanno permesso al governo di indebitarsi a dismisura spendendo in un settore pubblico diventato elefantiaco.
Da moltissimi mesi in Europa si è raggiunto il punto di rottura, e si naviga a vista, crisi dopo crisi, con provvedimenti che non risolvono i problemi di fondo. La cosa più preoccupante è la sparizione di ogni processo democratico di fronte a problemi che influenzeranno la vita di tutti per decenni a venire. Innanzitutto è spaventoso che non vi sia nemmeno l’ombra di un dibattito, né a livello Europeo né a livello dei singoli stati, su quale sia il progetto a medio-lungo termine. Si ritiene che l’Unione monetaria sia l’opzione migliore in termini di costi e benefici oppure no? Certo, non si può pensare di far esplodere l’Euro da un giorno all’altro: questo avrebbe effetti devastanti. Se si arrivasse alla conclusione che è meglio smantellare l’Euro, ci vorrebbero anni di pianificazione e implementazione. Ma si potrebbe fare.
Se si dà ascolto agli economisti e burocrati europei di turno si viene puntualmente fuorviati. Lorenzo Bini Smaghi, quello attaccato alla propria poltrona alla Bce che sta causando un grave incidente diplomatico fra Italia e Francia, andava ripetendo un giorno sì e l’altro pure che un default della Grecia sarebbe stato l’equivalente di un meteorite gigante che centra il cuore dell’Europa. Beh, adesso gli stessi governi francese e tedesco si sono allineati all’idea di un default della Grecia come soluzione inevitabile. Non lo chiamano default per questioni tecniche legate in parte al funzionamento di strumenti finanziari chiamati Credit Default Swap, ma in sostanza di default si tratta, e alla fine corrisponderà a una cancellazione del debito superiore al 40-50% attualmente in discussione.
E non è spaventoso il fatto che due banchieri, Trichet e Draghi, si arroghino il diritto di scrivere una lettera al governo italiano indicando, punto per punto, le cose da inserire nelle manovre finanziarie, che hanno un profondo impatto economico, sociale, di possibile progettazione per il futuro?
Andrea Arata
Analista finanziario
Economia & Lobby - 1 Novembre 2011
Perché l’Euro non funziona
I padri dell’Unione economica e monetaria europea, alcuni dei “mostri sacri” della politica europea della seconda metà del secolo scorso, ebbero l’idea che l’integrazione monetaria di parte dell’Europa avrebbe costituito un passaggio intermedio che facilitasse il percorso d’integrazione, intrapreso vari decenni prima, con l’unione politica del continente come obiettivo finale.
Vi erano anche degli interessi economici potenti che spingevano in tal senso. La Germania vedeva nell’unione monetaria il mezzo per facilitare le sue esportazioni in Europa, ridurre la competizione da parte di paesi che utilizzavano le “svalutazioni competitive” del tasso di cambio per spingere le proprie esportazioni, ed evitare l’eventuale problema di un marco troppo forte che pesasse sulla competitività tedesca nel mondo.
I paesi cui oggi si fa spesso riferimento con l’acronimo “Pigs”, cioè Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, vedevano un grosso vantaggio nella prevedibile diminuzione dei tassi d’interesse sui rispettivi debiti pubblici e a cascata nelle loro economie. Il motivo è che sarebbe venuto meno il rischio di cambio sul debito di questi paesi. Inoltre, i mercati avrebbero richiesto rendimenti sostanzialmente inferiori a prima, in virtù dei vincoli di finanza pubblica ai quali gli stati si assoggettavano aderendo al trattato di Maastricht.
L’unione monetaria avrebbe però limitato sostanzialmente la libertà di azione ai paesi aderenti. Questi non avrebbero più potuto elaborare la politica monetaria, per esempio il rialzo o il ribasso dei tassi d’interesse da parte delle proprie banche centrali. Ci sarebbe stata una politica monetaria per tutti. Ad esempio, se un paese cresce tanto e ha bisogno di tassi d’interesse alti, mentre un altro paese cresce poco e ha bisogno di tassi d’interessi bassi, viene a crearsi un problema, dato che il tasso d’interesse è unico. Inoltre gli stati membri non avrebbero più potuto influenzare il proprio tasso di cambio, che non sarebbe più esistito. Ad esempio, se un paese soffre di un declino della competitività delle proprie produzioni, non può arginare il problema svalutando il proprio tasso di cambio in attesa d’interventi strutturali.
Gli stati avrebbero inizialmente beneficiato di un ribasso dei tassi, come spiegato prima. Se però un governo si fosse trovato in difficoltà nella gestione della propria finanza pubblica, i tassi d’interesse sarebbero probabilmente esplosi, perché sarebbe mancata la possibilità di “stampare moneta” per finanziare il proprio deficit. Per capirci, una delle ragioni principali per cui gli Stati Uniti, l’Inghilterra e il Giappone pagano tassi d’interesse bassi sul proprio debito, nonostante parametri di finanza pubblica mediocri, consiste nella possibilità che hanno di monetizzare il proprio debito.
Era quindi necessario costruire una forma d’integrazione fiscale, o almeno di coordinamento fiscale, per contrastare questo problema nel suo formarsi. E, se veramente necessario, poter fare dei trasferimenti fiscali dai paesi più forti a quelli più deboli. Ma una forma d’integrazione fiscale, all’epoca indicata come necessaria da molti economisti importanti, non è stata presa in considerazione. D’altronde sembra difficile fare un’integrazione fiscale senza un minimo d’integrazione politica. Invece di procedere secondo logica – cioè stendendo prima un progetto politico che si concretizzasse in istituzioni con base democratica e potere effettivo, poi costruendo una forma d’integrazione fiscale, e infine un’integrazione monetaria – si è fatto l’esatto opposto.
Con risultati disastrosi. Questo progetto di unione monetaria poteva avere qualche possibilità di riuscita se gli stati aderenti si fossero avviati in un percorso di convergenza, sia dal punto di vista della crescita economica sia da quello dei parametri di finanza pubblica. Invece i paesi si sono avviati in un processo di divergenza, e per lungo tempo tutti sono stati a guardare incuranti del ticchettio di una bomba a orologeria.
La divergenza è stata totale. La Germania ha tenuto sotto controllo la propria fiscalità e costruito una piattaforma per esportazioni ad alto valore aggiunto competitive in Europa e nei paesi emergenti. I paesi mediterranei mediamente hanno avuto una crescita stagnante e hanno approfittato dei bassi livelli dei tassi d’interesse per “vivere al di sopra dei propri mezzi”, complici i banchieri incompetenti e/o irresponsabili che hanno concesso loro credito senza tener conto dei rischi. Il parallelo con la situazione negli Stati Uniti è impressionante.
In America si è sopperito a un massiccio trasferimento di produzioni in paesi a basso costo, e a una situazione del consumatore mediamente indebitato, creando una bolla immobiliare sostenuta da tassi d’interesse ridicolmente bassi e dagli oscuri prodotti strutturati che accompagnavano i mutui subprime. Quando la bolla è scoppiata nel 2007, milioni di persone impiegate nelle costruzioni, nelle agenzie immobiliari e nei servizi alle costruzioni, si sono ritrovate senza lavoro, senza contare l’implosione del sistema finanziario mondiale causato dagli strumenti “tossici” legati ai mutui subprime.
In Spagna e in Irlanda i tassi d’interesse eccessivamente bassi hanno favorito un fenomeno di bolla immobiliare simile a quello americano, mentre in Grecia hanno permesso al governo di indebitarsi a dismisura spendendo in un settore pubblico diventato elefantiaco.
Da moltissimi mesi in Europa si è raggiunto il punto di rottura, e si naviga a vista, crisi dopo crisi, con provvedimenti che non risolvono i problemi di fondo. La cosa più preoccupante è la sparizione di ogni processo democratico di fronte a problemi che influenzeranno la vita di tutti per decenni a venire. Innanzitutto è spaventoso che non vi sia nemmeno l’ombra di un dibattito, né a livello Europeo né a livello dei singoli stati, su quale sia il progetto a medio-lungo termine. Si ritiene che l’Unione monetaria sia l’opzione migliore in termini di costi e benefici oppure no? Certo, non si può pensare di far esplodere l’Euro da un giorno all’altro: questo avrebbe effetti devastanti. Se si arrivasse alla conclusione che è meglio smantellare l’Euro, ci vorrebbero anni di pianificazione e implementazione. Ma si potrebbe fare.
Se si dà ascolto agli economisti e burocrati europei di turno si viene puntualmente fuorviati. Lorenzo Bini Smaghi, quello attaccato alla propria poltrona alla Bce che sta causando un grave incidente diplomatico fra Italia e Francia, andava ripetendo un giorno sì e l’altro pure che un default della Grecia sarebbe stato l’equivalente di un meteorite gigante che centra il cuore dell’Europa. Beh, adesso gli stessi governi francese e tedesco si sono allineati all’idea di un default della Grecia come soluzione inevitabile. Non lo chiamano default per questioni tecniche legate in parte al funzionamento di strumenti finanziari chiamati Credit Default Swap, ma in sostanza di default si tratta, e alla fine corrisponderà a una cancellazione del debito superiore al 40-50% attualmente in discussione.
E non è spaventoso il fatto che due banchieri, Trichet e Draghi, si arroghino il diritto di scrivere una lettera al governo italiano indicando, punto per punto, le cose da inserire nelle manovre finanziarie, che hanno un profondo impatto economico, sociale, di possibile progettazione per il futuro?
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Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi aerei non scoraggeranno i ribelli yemeniti, i quali risponderanno agli Stati Uniti. Lo ha scritto sui social Nasruddin Amer, vice capo dell'ufficio stampa degli Houthi, aggiungendo che "Sana'a rimarrà lo scudo e il sostegno di Gaza e non la abbandonerà, indipendentemente dalle sfide".
"Questa aggressione non passerà senza una risposta e le nostre forze armate yemenite sono pienamente pronte ad affrontare l'escalation con l'escalation", ha affermato l'ufficio politico dei ribelli in una dichiarazione alla televisione Al-Masirah.
In un'altra dichiarazione citata da Ynet, un funzionario Houthi si è rivolto direttamente a Trump e a Netanyahu, che "stanno scavando tombe per i sionisti. Iniziate a preoccuparvi per le vostre teste".
Damasco, 15 mar. (Adnkronos) - L'esplosione avvenuta nella città costiera siriana di Latakia ha ucciso almeno otto persone. Lo ha riferito l'agenzia di stampa statale Sana, secondo cui, tra le vittime della detonazione di un ordigno inesploso, avvenuta in un negozio all'interno di un edificio di quattro piani, ci sono tre bambini e una donna. "Quattordici civili sono rimasti feriti, tra cui quattro bambini", ha aggiunto l'agenzia.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Almeno nove civili sono stati uccisi e nove feriti negli attacchi statunitensi su Sanaa, nello Yemen. Lo ha dichiarato un portavoce del ministero della Salute guidato dagli Houthi su X.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Sono lieto di informarvi che il generale Keith Kellogg è stato nominato inviato speciale in Ucraina. Il generale Kellogg, un esperto militare molto stimato, tratterà direttamente con il presidente Zelensky e la leadership ucraina. Li conosce bene e hanno un ottimo rapporto di lavoro. Congratulazioni al generale Kellogg!". Lo ha annunciato su Truth il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - "Oggi ho ordinato all'esercito degli Stati Uniti di lanciare un'azione militare decisa e potente contro i terroristi Houthi nello Yemen. Hanno condotto una campagna implacabile di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e di altri paesi". Lo ha annunciato il presidente americano Donald Trump su Truth. Senza risparmiare una stoccata all'ex inquilino della Casa Bianca, il tycoon aggiunge nel suo post che "la risposta di Joe Biden è stata pateticamente debole, quindi gli Houthi sfrenati hanno continuato ad andare avanti".
"È passato più di un anno - prosegue Trump - da quando una nave commerciale battente bandiera statunitense ha navigato in sicurezza attraverso il Canale di Suez, il Mar Rosso o il Golfo di Aden. L'ultima nave da guerra americana ad attraversare il Mar Rosso, quattro mesi fa, è stata attaccata dagli Houthi più di una decina di volte. Finanziati dall'Iran, i criminali Houthi hanno lanciato missili contro gli aerei statunitensi e hanno preso di mira le nostre truppe e i nostri alleati. Questi assalti implacabili sono costati agli Stati Uniti e all'economia mondiale molti miliardi di dollari, mettendo allo stesso tempo a rischio vite innocenti".
"L'attacco degli Houthi alle navi americane non sarà tollerato - conclude Trump - Utilizzeremo una forza letale schiacciante finché non avremo raggiunto il nostro obiettivo. Gli Houthi hanno soffocato le spedizioni in una delle più importanti vie marittime del mondo, bloccando vaste fasce del commercio globale e attaccando il principio fondamentale della libertà di navigazione da cui dipendono il commercio e gli scambi internazionali. I nostri coraggiosi Warfighters stanno in questo momento portando avanti attacchi aerei contro le basi, i leader e le difese missilistiche dei terroristi per proteggere le risorse navali, aeree e di spedizione americane e per ripristinare la libertà di navigazione. Nessuna forza terroristica impedirà alle navi commerciali e navali americane di navigare liberamente sulle vie d'acqua del mondo".
Whasington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno affermato che gli attacchi aerei contro l'arsenale degli Houthi, gran parte del quale è sepolto in profondità nel sottosuolo, potrebbero durare diversi giorni, intensificandosi in portata e scala a seconda della reazione dei militanti. Lo scrive il New York Times. Le agenzie di intelligence statunitensi hanno lottato in passato per identificare e localizzare i sistemi d'arma degli Houthi, che i ribelli producono in fabbriche sotterranee e contrabbandano dall'Iran.
Washington, 15 mar. (Adnkronos) - Funzionari statunitensi hanno detto al New York Times che il bombardamento su larga scala contro decine di obiettivi nello Yemen controllato dagli Houthi - l'azione militare più significativa del secondo mandato di Donald Trump - ha anche lo scopo di inviare un segnale di avvertimento all'Iran. Il presidente americano - scrive il quotidiano Usa- vuole mediare un accordo con Teheran per impedirgli di acquisire un'arma nucleare, ma ha lasciato aperta la possibilità di un'azione militare se gli iraniani respingono i negoziati.