I padri dell’Unione economica e monetaria europea, alcuni dei “mostri sacri” della politica europea della seconda metà del secolo scorso, ebbero l’idea che l’integrazione monetaria di parte dell’Europa avrebbe costituito un passaggio intermedio che facilitasse il percorso d’integrazione, intrapreso vari decenni prima, con l’unione politica del continente come obiettivo finale.
Vi erano anche degli interessi economici potenti che spingevano in tal senso. La Germania vedeva nell’unione monetaria il mezzo per facilitare le sue esportazioni in Europa, ridurre la competizione da parte di paesi che utilizzavano le “svalutazioni competitive” del tasso di cambio per spingere le proprie esportazioni, ed evitare l’eventuale problema di un marco troppo forte che pesasse sulla competitività tedesca nel mondo.
I paesi cui oggi si fa spesso riferimento con l’acronimo “Pigs”, cioè Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, vedevano un grosso vantaggio nella prevedibile diminuzione dei tassi d’interesse sui rispettivi debiti pubblici e a cascata nelle loro economie. Il motivo è che sarebbe venuto meno il rischio di cambio sul debito di questi paesi. Inoltre, i mercati avrebbero richiesto rendimenti sostanzialmente inferiori a prima, in virtù dei vincoli di finanza pubblica ai quali gli stati si assoggettavano aderendo al trattato di Maastricht.
L’unione monetaria avrebbe però limitato sostanzialmente la libertà di azione ai paesi aderenti. Questi non avrebbero più potuto elaborare la politica monetaria, per esempio il rialzo o il ribasso dei tassi d’interesse da parte delle proprie banche centrali. Ci sarebbe stata una politica monetaria per tutti. Ad esempio, se un paese cresce tanto e ha bisogno di tassi d’interesse alti, mentre un altro paese cresce poco e ha bisogno di tassi d’interessi bassi, viene a crearsi un problema, dato che il tasso d’interesse è unico. Inoltre gli stati membri non avrebbero più potuto influenzare il proprio tasso di cambio, che non sarebbe più esistito. Ad esempio, se un paese soffre di un declino della competitività delle proprie produzioni, non può arginare il problema svalutando il proprio tasso di cambio in attesa d’interventi strutturali.
Gli stati avrebbero inizialmente beneficiato di un ribasso dei tassi, come spiegato prima. Se però un governo si fosse trovato in difficoltà nella gestione della propria finanza pubblica, i tassi d’interesse sarebbero probabilmente esplosi, perché sarebbe mancata la possibilità di “stampare moneta” per finanziare il proprio deficit. Per capirci, una delle ragioni principali per cui gli Stati Uniti, l’Inghilterra e il Giappone pagano tassi d’interesse bassi sul proprio debito, nonostante parametri di finanza pubblica mediocri, consiste nella possibilità che hanno di monetizzare il proprio debito.
Era quindi necessario costruire una forma d’integrazione fiscale, o almeno di coordinamento fiscale, per contrastare questo problema nel suo formarsi. E, se veramente necessario, poter fare dei trasferimenti fiscali dai paesi più forti a quelli più deboli. Ma una forma d’integrazione fiscale, all’epoca indicata come necessaria da molti economisti importanti, non è stata presa in considerazione. D’altronde sembra difficile fare un’integrazione fiscale senza un minimo d’integrazione politica. Invece di procedere secondo logica – cioè stendendo prima un progetto politico che si concretizzasse in istituzioni con base democratica e potere effettivo, poi costruendo una forma d’integrazione fiscale, e infine un’integrazione monetaria – si è fatto l’esatto opposto.
Con risultati disastrosi. Questo progetto di unione monetaria poteva avere qualche possibilità di riuscita se gli stati aderenti si fossero avviati in un percorso di convergenza, sia dal punto di vista della crescita economica sia da quello dei parametri di finanza pubblica. Invece i paesi si sono avviati in un processo di divergenza, e per lungo tempo tutti sono stati a guardare incuranti del ticchettio di una bomba a orologeria.
La divergenza è stata totale. La Germania ha tenuto sotto controllo la propria fiscalità e costruito una piattaforma per esportazioni ad alto valore aggiunto competitive in Europa e nei paesi emergenti. I paesi mediterranei mediamente hanno avuto una crescita stagnante e hanno approfittato dei bassi livelli dei tassi d’interesse per “vivere al di sopra dei propri mezzi”, complici i banchieri incompetenti e/o irresponsabili che hanno concesso loro credito senza tener conto dei rischi. Il parallelo con la situazione negli Stati Uniti è impressionante.
In America si è sopperito a un massiccio trasferimento di produzioni in paesi a basso costo, e a una situazione del consumatore mediamente indebitato, creando una bolla immobiliare sostenuta da tassi d’interesse ridicolmente bassi e dagli oscuri prodotti strutturati che accompagnavano i mutui subprime. Quando la bolla è scoppiata nel 2007, milioni di persone impiegate nelle costruzioni, nelle agenzie immobiliari e nei servizi alle costruzioni, si sono ritrovate senza lavoro, senza contare l’implosione del sistema finanziario mondiale causato dagli strumenti “tossici” legati ai mutui subprime.
In Spagna e in Irlanda i tassi d’interesse eccessivamente bassi hanno favorito un fenomeno di bolla immobiliare simile a quello americano, mentre in Grecia hanno permesso al governo di indebitarsi a dismisura spendendo in un settore pubblico diventato elefantiaco.
Da moltissimi mesi in Europa si è raggiunto il punto di rottura, e si naviga a vista, crisi dopo crisi, con provvedimenti che non risolvono i problemi di fondo. La cosa più preoccupante è la sparizione di ogni processo democratico di fronte a problemi che influenzeranno la vita di tutti per decenni a venire. Innanzitutto è spaventoso che non vi sia nemmeno l’ombra di un dibattito, né a livello Europeo né a livello dei singoli stati, su quale sia il progetto a medio-lungo termine. Si ritiene che l’Unione monetaria sia l’opzione migliore in termini di costi e benefici oppure no? Certo, non si può pensare di far esplodere l’Euro da un giorno all’altro: questo avrebbe effetti devastanti. Se si arrivasse alla conclusione che è meglio smantellare l’Euro, ci vorrebbero anni di pianificazione e implementazione. Ma si potrebbe fare.
Se si dà ascolto agli economisti e burocrati europei di turno si viene puntualmente fuorviati. Lorenzo Bini Smaghi, quello attaccato alla propria poltrona alla Bce che sta causando un grave incidente diplomatico fra Italia e Francia, andava ripetendo un giorno sì e l’altro pure che un default della Grecia sarebbe stato l’equivalente di un meteorite gigante che centra il cuore dell’Europa. Beh, adesso gli stessi governi francese e tedesco si sono allineati all’idea di un default della Grecia come soluzione inevitabile. Non lo chiamano default per questioni tecniche legate in parte al funzionamento di strumenti finanziari chiamati Credit Default Swap, ma in sostanza di default si tratta, e alla fine corrisponderà a una cancellazione del debito superiore al 40-50% attualmente in discussione.
E non è spaventoso il fatto che due banchieri, Trichet e Draghi, si arroghino il diritto di scrivere una lettera al governo italiano indicando, punto per punto, le cose da inserire nelle manovre finanziarie, che hanno un profondo impatto economico, sociale, di possibile progettazione per il futuro?
Andrea Arata
Analista finanziario
Economia & Lobby - 1 Novembre 2011
Perché l’Euro non funziona
I padri dell’Unione economica e monetaria europea, alcuni dei “mostri sacri” della politica europea della seconda metà del secolo scorso, ebbero l’idea che l’integrazione monetaria di parte dell’Europa avrebbe costituito un passaggio intermedio che facilitasse il percorso d’integrazione, intrapreso vari decenni prima, con l’unione politica del continente come obiettivo finale.
Vi erano anche degli interessi economici potenti che spingevano in tal senso. La Germania vedeva nell’unione monetaria il mezzo per facilitare le sue esportazioni in Europa, ridurre la competizione da parte di paesi che utilizzavano le “svalutazioni competitive” del tasso di cambio per spingere le proprie esportazioni, ed evitare l’eventuale problema di un marco troppo forte che pesasse sulla competitività tedesca nel mondo.
I paesi cui oggi si fa spesso riferimento con l’acronimo “Pigs”, cioè Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, vedevano un grosso vantaggio nella prevedibile diminuzione dei tassi d’interesse sui rispettivi debiti pubblici e a cascata nelle loro economie. Il motivo è che sarebbe venuto meno il rischio di cambio sul debito di questi paesi. Inoltre, i mercati avrebbero richiesto rendimenti sostanzialmente inferiori a prima, in virtù dei vincoli di finanza pubblica ai quali gli stati si assoggettavano aderendo al trattato di Maastricht.
L’unione monetaria avrebbe però limitato sostanzialmente la libertà di azione ai paesi aderenti. Questi non avrebbero più potuto elaborare la politica monetaria, per esempio il rialzo o il ribasso dei tassi d’interesse da parte delle proprie banche centrali. Ci sarebbe stata una politica monetaria per tutti. Ad esempio, se un paese cresce tanto e ha bisogno di tassi d’interesse alti, mentre un altro paese cresce poco e ha bisogno di tassi d’interessi bassi, viene a crearsi un problema, dato che il tasso d’interesse è unico. Inoltre gli stati membri non avrebbero più potuto influenzare il proprio tasso di cambio, che non sarebbe più esistito. Ad esempio, se un paese soffre di un declino della competitività delle proprie produzioni, non può arginare il problema svalutando il proprio tasso di cambio in attesa d’interventi strutturali.
Gli stati avrebbero inizialmente beneficiato di un ribasso dei tassi, come spiegato prima. Se però un governo si fosse trovato in difficoltà nella gestione della propria finanza pubblica, i tassi d’interesse sarebbero probabilmente esplosi, perché sarebbe mancata la possibilità di “stampare moneta” per finanziare il proprio deficit. Per capirci, una delle ragioni principali per cui gli Stati Uniti, l’Inghilterra e il Giappone pagano tassi d’interesse bassi sul proprio debito, nonostante parametri di finanza pubblica mediocri, consiste nella possibilità che hanno di monetizzare il proprio debito.
Era quindi necessario costruire una forma d’integrazione fiscale, o almeno di coordinamento fiscale, per contrastare questo problema nel suo formarsi. E, se veramente necessario, poter fare dei trasferimenti fiscali dai paesi più forti a quelli più deboli. Ma una forma d’integrazione fiscale, all’epoca indicata come necessaria da molti economisti importanti, non è stata presa in considerazione. D’altronde sembra difficile fare un’integrazione fiscale senza un minimo d’integrazione politica. Invece di procedere secondo logica – cioè stendendo prima un progetto politico che si concretizzasse in istituzioni con base democratica e potere effettivo, poi costruendo una forma d’integrazione fiscale, e infine un’integrazione monetaria – si è fatto l’esatto opposto.
Con risultati disastrosi. Questo progetto di unione monetaria poteva avere qualche possibilità di riuscita se gli stati aderenti si fossero avviati in un percorso di convergenza, sia dal punto di vista della crescita economica sia da quello dei parametri di finanza pubblica. Invece i paesi si sono avviati in un processo di divergenza, e per lungo tempo tutti sono stati a guardare incuranti del ticchettio di una bomba a orologeria.
La divergenza è stata totale. La Germania ha tenuto sotto controllo la propria fiscalità e costruito una piattaforma per esportazioni ad alto valore aggiunto competitive in Europa e nei paesi emergenti. I paesi mediterranei mediamente hanno avuto una crescita stagnante e hanno approfittato dei bassi livelli dei tassi d’interesse per “vivere al di sopra dei propri mezzi”, complici i banchieri incompetenti e/o irresponsabili che hanno concesso loro credito senza tener conto dei rischi. Il parallelo con la situazione negli Stati Uniti è impressionante.
In America si è sopperito a un massiccio trasferimento di produzioni in paesi a basso costo, e a una situazione del consumatore mediamente indebitato, creando una bolla immobiliare sostenuta da tassi d’interesse ridicolmente bassi e dagli oscuri prodotti strutturati che accompagnavano i mutui subprime. Quando la bolla è scoppiata nel 2007, milioni di persone impiegate nelle costruzioni, nelle agenzie immobiliari e nei servizi alle costruzioni, si sono ritrovate senza lavoro, senza contare l’implosione del sistema finanziario mondiale causato dagli strumenti “tossici” legati ai mutui subprime.
In Spagna e in Irlanda i tassi d’interesse eccessivamente bassi hanno favorito un fenomeno di bolla immobiliare simile a quello americano, mentre in Grecia hanno permesso al governo di indebitarsi a dismisura spendendo in un settore pubblico diventato elefantiaco.
Da moltissimi mesi in Europa si è raggiunto il punto di rottura, e si naviga a vista, crisi dopo crisi, con provvedimenti che non risolvono i problemi di fondo. La cosa più preoccupante è la sparizione di ogni processo democratico di fronte a problemi che influenzeranno la vita di tutti per decenni a venire. Innanzitutto è spaventoso che non vi sia nemmeno l’ombra di un dibattito, né a livello Europeo né a livello dei singoli stati, su quale sia il progetto a medio-lungo termine. Si ritiene che l’Unione monetaria sia l’opzione migliore in termini di costi e benefici oppure no? Certo, non si può pensare di far esplodere l’Euro da un giorno all’altro: questo avrebbe effetti devastanti. Se si arrivasse alla conclusione che è meglio smantellare l’Euro, ci vorrebbero anni di pianificazione e implementazione. Ma si potrebbe fare.
Se si dà ascolto agli economisti e burocrati europei di turno si viene puntualmente fuorviati. Lorenzo Bini Smaghi, quello attaccato alla propria poltrona alla Bce che sta causando un grave incidente diplomatico fra Italia e Francia, andava ripetendo un giorno sì e l’altro pure che un default della Grecia sarebbe stato l’equivalente di un meteorite gigante che centra il cuore dell’Europa. Beh, adesso gli stessi governi francese e tedesco si sono allineati all’idea di un default della Grecia come soluzione inevitabile. Non lo chiamano default per questioni tecniche legate in parte al funzionamento di strumenti finanziari chiamati Credit Default Swap, ma in sostanza di default si tratta, e alla fine corrisponderà a una cancellazione del debito superiore al 40-50% attualmente in discussione.
E non è spaventoso il fatto che due banchieri, Trichet e Draghi, si arroghino il diritto di scrivere una lettera al governo italiano indicando, punto per punto, le cose da inserire nelle manovre finanziarie, che hanno un profondo impatto economico, sociale, di possibile progettazione per il futuro?
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Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Vogliamo il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica e non lo delegheremo alla Francia e alla Gran Bretagna". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo. "Per avere i granai pieni -ha aggiunto- bisogna avere gli arsenali pieni, la difesa è la premessa della libertà e della democrazia".
Bruxelles, 18 mar. - (Adnkronos) - Le sedici aziende dell’Alleanza “Value of Beauty”, lanciata a febbraio 2024, hanno presentato a Bruxelles uno studio commissionato a Oxford Economics sull’impatto socioeconomico del settore. Il Gruppo L’Oréal, Kiko Milano, Beiersdorf, Iff, e altri grandi marchi dell’industria vogliono inserirsi nello spiraglio aperto dalla Commissione europea per favorire la semplificazione normativa in vari ambiti, e per chiedere un dialogo strategico sul futuro del settore, come già successo per agricoltura e automotive.
Il settore guarda con attenzione alle proposte su una legge europea vincolante per le biotecnologie e alla strategia per la bioeconomia, che la Commissione si impegna a presentare entro la fine dell’anno. Ma guarda con attenzione anche agli sviluppi nelle relazioni commerciali in Occidente alla luce della recente entrata in vigore dei dazi di Washington sull’import dall’Unione europea.
“Cinque delle sette più grandi aziende del settore hanno la loro sede nell’Ue”, ha sottolineato l’amministratore delegato del Gruppo L’Oréal, Nicolas Hieronimus.
A Bruxelles i sedici membri dell’Alleanza chiedono politiche per la produzione sostenibile di ingredienti e la formazione di personale per sbloccare il potenziale del settore. Un aspetto legato, secondo l’amministratore delegato di Kiko Milano, Simone Dominici, all’impatto positivo che la cura del corpo e dell’estetica ha sull’autostima e sulla salute mentale dei consumatori. Aspetti non trascurati dallo studio dell’Oxford Economics presentato all’ombra dei palazzi delle istituzioni europee. Il rapporto mostra che la spesa dei consumatori nell’Ue per i prodotti di bellezza e cura della persona ha superato i 180 miliardi di euro e dato lavoro a oltre tre milioni di persone, un numero che supera il totale della forza lavoro presente in 13 Stati membri dell’Ue. Troppi anche gli oneri per l'industria della cosmetica che rendono necessaria una revisione della direttiva sulle acque reflue. Forte dei 496 milioni di euro generati ogni giorno e dei 3,2 milioni di posti di lavoro, la cordata dei grandi nomi dell’industria della bellezza chiede che tutti i settori che contribuiscono ai microinquinanti nelle acque siano ritenuti responsabili, in linea con il principio “chi inquina paga”.
I riflettori dell’Alleanza, che guarda anche agli interessi di tutti gli attori della filiera - dagli agricoltori ai vetrai, importanti nella catena del valore quanto le case di fragranze - sono rivolti in primis sull’attesa revisione del regolamento Reach (Regulation on the registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), che regolamenta le sostanze chimiche autorizzate e soggette a restrizione nell’Unione europea. L’Alleanza chiede che a questa iniziativa, annunciata nel 2020 come parte del pacchetto sul Green deal, si aggiunga anche una revisione del regolamento sui prodotti cosmetici.
L’appello ha come obiettivo la riduzione degli oneri amministrativi e lo stimolo all'innovazione, senza sacrificare l’approccio basato sul rischio per la salute e la responsabilità per la tutela dell’ambiente. Trasmette ottimismo l’iniziativa della Commissione di considerare delle esenzioni per alcune imprese colpite dalla direttiva della diligenza dovuta che imponeva oneri considerati sproporzionati alle piccole e medie imprese, la colonna portante del settore.
“Vogliamo impiegare più tempo alla sostenibilità, piuttosto che alla rendicontazione amministrativa”, è stato l’appello degli amministratori delegati durante la conferenza stampa che ha preceduto gli incontri istituzionali al Parlamento europeo, tra cui quello con la presidente dell’istituzione, Roberta Metsola. Lo studio presentato dimostra che una parte consistente della cura per la sostenibilità ambientale passa anche dalla cosmetica. L’Oréal ha già annunciato che entro il 2030 il 100% della plastica utilizzata nelle confezioni sarà ottenuta da fonti riciclate o bio-based.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Mandare soldati in Ucraina mentre ci sono i bombardamenti è una pazzia e l'Italia non farà questa scelta". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Gli inglesi sono usciti dall'Europa e adesso ci convocano una volta a settimana, facessero domanda per rientrare nell'Unione europea". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Dei Servizi segreti non si parla nell'Autogrill, si parla nel Copasir, io all'Autogrill ci vado a comprare il panino". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Da oggi sono autorizzato a dire che la Meloni non smentisce l'utilizzo di intercettazioni preventive nei confronti di un giornalista che attacca il Governo. È una cosa enorme, che ha a che fare con la dignità delle Istituzioni. Se non vi rendete conto che su questa cosa si gioca il futuro della libertà, allora sappiate che c'è qualcuno che lascia agli atti questa frase, perchè quando intercetteranno voi, in modo illegittimo, con i trojan illegali, saremo comunque dalla vostra parte per difendere il vostro diritto di cittadini, mentre voi oggi vi state voltando dal'altra parte". Lo ha affermato Matteo Renzi nella sua dichiarazione di voto sulle risoluzioni sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
"Giorgia Meloni va al Consiglio europeo senza una linea, senza sapere da che parte stare, senza aver avuto il coraggio di rispondere a quella frase che lei stessa aveva detto: 'come diceva Pericle la felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio'. Se la felicità e la libertà dipendono dal coraggio, Giorgia Meloni -ha concluso l'ex premier- non è felice, non è libera".