L'assessore al Bilancio, Bruno Tabacci, punta a vendere le quote di Sea e Milano-Serravalle per trovare entro la fine dell'anno 350 milioni di euro utili a rispettare il patto di stabilità. L'operazione, però, non piace né al Terzo Polo né all'opposizione, che parla di accordo sottobanco con Vito Gamberale
Le incomprensioni scoppiano in ogni famiglia che si trovi a dare via i propri gioielli. E la famiglia arancione che da cinque mesi governa Milano non è da meno. Quando la giunta ieri ha ribadito l’intenzione di vendere oltre al 18, 6 % della Milano-Serravalle anche il 20 % della società aeroportuale Sea per fare quadrare i conti, qualcuno all’interno della maggioranza ha storto il naso. Perché la linea fortemente voluta dall’assessore al Bilancio, Bruno Tabacci, non a tutti è parsa trasparente.
Tutto nasce dalla necessità di trovare entro fine anno i 350 milioni di euro che la giunta Moratti aveva messo a bilancio per il 2011, ma che finora non sono saltati fuori. A fronte del buco ereditato, è volontà di Tabacci e del sindaco Giuliano Pisapia rispettare il patto di stabilità: “Un dovere verso il Paese, soprattutto in un questo momento di crisi”, dicono. Una risposta alla Lega, visto che Matteo Salvini ha offerto una mano alla giunta “per andare a battere i pugni sul tavolo di Tremonti” e non rispettare i vincoli di “una camicia di forza intollerabile”. Ma all’ombra della Madonnina le regole si rispettano. Questa la decisione.
E visto che due gare per vendere le quote della Milano-Serravalle sono già andate deserte – ragiona Tabacci – va presa in considerazione l’offerta che venerdì scorso è arrivata da F 2 i, il fondo guidato dall’ex manager di Autostrade Vito Gamberale e partecipato, fra gli altri, dalla Cassa depositi e prestiti, dalla divisione infrastrutture di Intesa Sanpaolo, da Unicredit, da Fondazione Cariplo e altre fondazioni bancarie. Sul piatto ci sono 145 milioni di euro per per il 18, 6 % di Serravalle, più 235 per il 20 % di Sea, la società che ha in gestione gli aeroporti di Linate e Malpensa.
Così la giunta adesso vuole un bando unico con due opzioni: la vendita congiunta delle quote di Serravalle e di Sea, oppure la vendita disgiunta, purché nelle casse del Comune finisca una somma superiore a quella della cessione in abbinata. “Non è la prima volta che per vendere un appartamento meno buono, se ne vende uno buono”, spiega Tabacci. Già, perché il dubbio di molti è che l’acquisto di Serravalle sia per F 2 i un cavallo di Troia per arrivare a Sea, dopo gli investimenti fatti nell’aeroporto di Napoli Capodichino. In un secondo momento la Serravalle potrebbe essere girata alla famiglia Benetton o al gruppo Gavio. Che rientrerebbe così in possesso di quote dell’autostrada, dopo averne ceduto nel 2005 il 15 % alla Provincia allora guidata da Filippo Penati. A un prezzo ben più caro di oggi: 238 milioni di euro.
L’opposizione vede nella decisione della giunta un accordo preso sottobanco con Gamberale, visto che la sua offerta è stata presentata poche ore dopo che la seconda asta è andata deserta. La linea Tabacci non è piaciuta nemmeno all’ex presidente del Consiglio comunale, quel Manfredi Palmeri che a livello nazionale appartiene allo stesso Terzo Polo dell’assessore al Bilancio e che a Milano ha parlato della necessità di “spiegazioni senza omissioni e reticenze”. Pisapia e Tabacci cercano di rassicurare: la base d’asta per la Serravalle saranno i 145 milioni già offerti da F 2 i, mentre sul valore del 20 per cento di Sea è in corso una perizia di Kpmg. In un secondo momento si deciderà della vendita in borsa di altre quote di Sea.
“Ma Palazzo Marino rimarrà in maggioranza – garantisce il sindaco – con almeno il 51 %”. Parole che però non convincono nemmeno tutta la maggioranza. Nei giorni scorsi l’assessore alla Cultura Stefano Boeri ha parlato di “decisione che va attentamente ponderata, anche perché si tratta di soldi pubblici”. A lui si aggiunge il capogruppo del Pd in Consiglio Carmela Rozza: “Ci deve essere un momento di approfondimento sulla situazione di Sea”. E anche il presidente del Consiglio comunale Basilio Rizzo, dopo essersi chiesto perché le quote di Sea non verranno vendute in borsa come deciso in precedenza, ora parla di una scelta giustificabile solo se obbligata dall’esigenza di ripianare il deficit. E chiede un bando vero, che non favorisca nessuno, perché “dobbiamo massimizzare il risultato, visto che sacrifichiamo il patrimonio dei milanesi”.
da Il Fatto Quotidiano del 1/11/2011