Alla procura di Roma esiste una task force contro le mafie che invadono da anni la capitale e il Lazio. Una misura per arginare la paura dopo l’ escalation di violenza registrata in questi mesi e il livello di penetrazione nel tessuto economico e finanziario raggiunto dalle mafie. Il coordinatore della distrettuale antimafia Giancarlo Capaldo dirigerà il lavoro delle forze dell’ordine. “ Erano anni che chiedevamo di istituire un gruppo di lavoro con questi poteri – ha precisato Capaldo – ora ci hanno dato credito. Purtroppo è successo per il dilagare del problema criminalità nel Lazio. In realtà noi, lavorando ogni giorno, siamo coscienti della gravità della situazione”. Sulle mafie a Roma, sul loro potere economico e la violenza diffusa, ilfattoquotidiano.it ha voluto ascoltare l’opinione di Diana De Martino, sostituto procuratore della direzione nazionale antimafia, impegnata in passato nelle indagini sulle infiltrazioni mafiose nel basso Lazio.
Che ruolo hanno le mafie nella Capitale?
Le organizzazioni di stampo mafioso tradizionali hanno scelto questo territorio per investire. Non sono interessate a scontrarsi tra loro perché in fondo a Roma c’è posto per tutti. Nella capitale abbiamo le rappresentanze di tutte le mafie che riescono a convivere. Lo dimostra l’arresto di latitanti nel territorio romano, fare una latitanza significa avere un dispositivo, una rete di protezione che ti consente di gestire la permanenza. Il secondo elemento è quello dei sequestri che indica il livello di investimento delle organizzazioni mafiose nella capitale. Penso ai sigilli apposti ai beni riconducibili al clan Mallardo, tre provvedimenti in pochi mesi, oppure al sequestro di immobili della cosca Alvaro, quest’anno è arrivato il provvedimento di confisca . L’elemento che più ci ha stupito è che nello svolgere l’attività di indagine, Vincenzo Alvaro, durante la misura di prevenzione, ha aperto altri due esercizi commerciali. Potremmo citare gli investimenti del clan Muto e di altre formazioni criminali che in generale comprano e gestiscono locali della Roma bene dai ristoranti ai bar fino alle agenzie finanziarie.
Anche i centri commerciali, fiorenti nella capitale, sono oggetto di riciclaggio e investimenti mafiosi?
Il vero fronte, il vero confine su cui si può affrontare con efficienza le organizzazioni mafiose è il contrasto patrimoniale e quindi stiamo cercando di lavorare in questa direzione. Ci sono diverse indagini aperte che mirano ad approfondire e verificare infiltrazioni su attività commerciali ed imprenditoriali di vario genere.
Qual è il potenziale economico delle organizzazioni criminali?
Difficile quantificarlo. Si tratta di soggetti che dispongono di enormi liquidità perché il traffico di droga, la prostituzione, la tratta, il gioco d’azzardo (a partire dalla distribuzione delle slot nei bar), l’usura rendono e con questo flusso di denaro si può investire senza concorrenza in piena crisi. Spesso assistiamo ad acquisti fuori mercato, scelte imprenditoriali in contrasto con il trend. Per loro c’è l’urgenza solo di ripulire i soldi non certo di guadagnare. In passato per riciclare si pagava il servizio, adesso con l’impresa mafiosa si acquisisce l’azienda assegnandola direttamente a familiari oppure a prestanome
Qual è l’atteggiamento dell’imprenditoria romana contro queste infiltrazioni?
I procedimenti sono a carico di imprenditori collusi, ma bisogna dire che non abbiamo denunce di imprenditori romani che subiscono estorsioni eppure il fenomeno c’è. Su Roma ci sono anche altri gruppi non necessariamente appartenenti al crimine organizzato che taglieggiano, praticano usura con conseguente estorsione. Le denunce non è che siano molte anche nel sud pontino dove ci sono estorsioni di stampo mafioso. Alcune ci sono, ma il fenomeno è più vasto.
Si è molto parlato di omicidi, 27 dagli inizi dell’anno a Roma. Qual è il suo giudizio?
Non è il numero che deve spaventare, ma le modalità. Alcuni sono avvenuti anche in pieno giorno mentre le persone vanno a lavoro o accompagnano i figli a scuola, con una particolare ferocia, reiterazione come nel caso di Simmi (Flavio Simmi, ammazzato nel quartiere Prati a luglio con 9 colpi di pistola, ndr) prima gambizzato e poi successivamente ucciso. Alcuni sono avulsi dal contesto, altri sono la conseguenza di atti delittuosi, come l’ultimo avvenuto a San Basilio, ma ce ne sono un certo numero, per la personalità della vittima o per la modalità, che appartengono ad un contesto criminale. Non c’è un collegamento tra questi fatti delittuosi, questo emerge dai delitti risolti e da quelli in via di risoluzione (6, ndr). La mia impressione è che sono saltati i meccanismi di autoregolamentazione in ambienti criminali, prima si minacciava ora si ammazza. Si ricorre più sovente alla violenza, all’omicidio anche per una partita di droga non pagata, per vendicare uno sgarro. Nel 2009 abbiamo avuto l’arresto di Michele Senese, il personaggio più influente nel traffico di droga, e dopo la sua cattura c’è un riequilibrio, ci sono bande che si dividono le numerose piazze di spaccio.
La presenza criminale è diffusa in tutto il territorio romano?
Ci sono soggetti investigativamente interessanti in ogni quartiere, questo non significa che li controllino, ma certo in certe zone la situazione è complicata. Strade, quadrilateri dove più forte è la presenza di questi personaggi. Aree controllate da vedette, dove più difficile è l’intervento degli agenti che, se non calibrato, non porta a nessun risultato
Lei ha parlato di riciclaggio. Il parlamento ha approvato il codice antimafia. C’è un problema relativo all’aggressione ai patrimoni?
Sì. Il termine inserito per i procedimenti di prevenzione che porta alla confisca dei patrimoni rischia di rendere vano il nostro lavoro. Il termine previsto è di un anno e mezzo prorogabile due volte di 6 mesi, per un massimo di due anni e mezzo per il primo grado, lo stesso per il secondo grado. Sembrerebbe un termine lunghissimo, ma ci sono casi molto complessi che necessitano di approfondimenti, perizie, talvolta di rogatorie internazionali, che portano via molto tempo. La vicenda degli Alvaro, ad esempio, la confisca è avvenuta solo adesso mentre il sequestro è stato disposto nel 2009. E’ una corsa contro il tempo, se superiamo questo termine la confisca viene meno, cancellando il nostro lavoro, vanificandolo di fatto. C’è un altro problema correlato nella gestione del bene. Fino a che non si arriva al provvedimento definitivo, l’amministratore del bene, sapendo che potrebbe decadere, avrà maggiori difficoltà nel gestire il patrimonio sequestrato.