È ormai una lotta per la sopravvivenza quella di Gomito a Gomito, piccola sartoria bolognese che da un anno offre lavoro a 4 detenute della Dozza. Frate Martino, uno dei responsabili del progetto, ha deciso di aspettare la fine dell’anno: se entro Natale non si riesce a pareggiare il bilancio si va tutti a casa. Con il groppo in gola e l’amarezza di non essere riusciti a sottrarre alle leggi del mercato un’esperienza che va oltre il commercio. Perché questo piccolo laboratorio di taglio e cucito non rappresenta solo l’occasione per imparare un mestiere, ma anche la seconda opportunità di chi ha passato parte della propria vita dietro le sbarre.

Avviato a dicembre dalla cooperativa sociale Siamo qua tra le mura del carcere Dozza, inizialmente il progetto coinvolge 4 detenute (2 italiane e 2 straniere) grazie a borse lavoro di sei mesi, attivate dall’Asp poveri vergognosi. Terminata la convenzione semestrale, a luglio le donne vengono assunte e cominciano a lavorare a tempo pieno sotto la guida di una sarta esperta. E alla produzione di borse e biancheria per la casa si aggiunge quella di capi d’abbigliamento etnici e vestiti per bambini.  “Siamo partiti con manufatti semplici, in genere sportine per la spesa – racconta Frate Martino della parrocchia del carcere  – e in poco tempo abbiamo raggiunto il ritmo e lo stile di un laboratorio esterno ”.

Mese dopo mese le commesse si moltiplicano. Gonne, sciarpe, cappotti e felpe. Quei vestiti dai tagli originali e dai colori sgargianti piacciono. Eppure i conti vanno in rosso. “I negozi ordinano i nostri capi, ma li pagano troppo poco”.  Talmente poco che la sartoria non riesce a coprire i costi della produzione e oggi si trova con un buco di diverse migliaia di euro. “Quando proviamo a chiedere una cifra più adeguata i negozi si rivolgono ad altri fornitori”.  Insomma, le regole del mercato sono dure per tutti e non risparmiano neppure una piccola attività di detenute. “Il mondo dell’abbigliamento subisce la concorrenza di chi produce a costi bassissimi. Se non ti adegui sei fuori”.

Per salvare il laboratorio, due mesi fa Frate Martino decide di saltare gli intermediari e giocare l’ultima carta della vendita diretta. “Proviamo a proporre i nostri capi ai mercati di quartiere distribuiti a Porto, S. Stefano, Saragozza, San Vitale e Montagnola. L’ultimo banchetto, quello messo in piedi il 29 ottobre, ha dato buoni risultati”. Una boccata d’ossigeno per la cooperativa, che ora confida nel commercio delle bancarelle per recuperare un trend positivo.

L’ultimatum è fissato per dicembre. “Se entro il 31 non arriviamo al pareggio siamo costretti a chiudere. Non sapremmo dove andare a prendere i soldi per rinnovare i contratti nel 2012. Le detenute vanno pagate e noi non abbiamo un capitale che ci premette di avere le spalle coperte anche nei periodi di crisi”. Frate Martino non nasconde il dispiacere. “Sarebbe un vero peccato, perché quest’iniziativa ha portato un grande beneficio alle detenute: qui hanno potuto imparare un mestiere che tornerà utile anche quando saranno fuori”.

Del destino della piccola sartoria della Dozza si è interessato anche l’assessore al Welfare Amelia Frascaroli, che a settembre, in commissione Politiche sociali, ha sposato dell’idea dei banchetti itineranti. Con la speranza che “in tre mesi questa iniziativa possa assumere i connotati di un’impresa e salvarsi”.

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