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Tunisia, sciopero e picchetti all’Eni <br> “Sta devastando il nostro territorio”

La protesta di cittadini e operai va avanti ad oltranza. "Prima della rivoluzione sapevamo che l’azienda contribuiva a realizzare infrastrutture locali, ma dopo abbiamo scoperto che i soldi finivano in mano ai funzionari del regime". Secondo gli scioperanti, ora il Cane a sei zampe deve assumersi le proprie responsabilità di Doranti e Del Bubb

E’ cominciata coi cittadini del paese davanti ai cancelli, prosegue con le braccia incrociate degli operai. E’ la protesta che in questi giorni sta paralizzando lo stabilimento petrolifero Eni di Tazarka, 60 km a sud-est di Tunisi. Ridha Ben Salha, portavoce dei circa 200 cittadini che presidiano i cancelli dell’impianto dal 21 ottobre scorso, racconta: “Eni sta danneggiando il nostro territorio. Prima della Rivoluzione, a Tazarka, tutti sapevano che l’azienda contribuiva a realizzare le infrastrutture locali finanziando la municipalità. Era quello che il Comune affermava, ma dopo il cambio di amministrazione abbiamo scoperto che i soldi arrivati sono finiti nelle tasche dei funzionari. E siamo venuti davanti ai cancelli a fare le nostre richieste all’Eni”. Posti di lavoro per le persone del posto, sovvenzioni alle famiglie con redditi bassi, finanziamento delle associazioni che operano nel sociale.

Eni, al momento non rilascia dichiarazioni. I media tunisini, che hanno dato la notizia solo dopo la prima settimana di proteste, inizialmente hanno parlato di sequestro di persona (28 lavoratori rinchiusi per giorni nello stabilimento, tra cui l’italiano Girolamo Croce) ad opera di un gruppo organizzato. “No – ribatte Ridha – non c’è stato niente di tutto questo. Per un paio di giorni abbiamo detto a chi usciva dallo stabilimento che non sarebbe rientrato. Non potevamo far altro per costringere Eni a venire a trattative”. Blocchi realizzati con pietre e bidoni ostruiscono le strade che congiungono al cantiere, impedendo ai camion di entrare e svuotare le cisterne. “Eni ha continuato a riempirle, credendo che saremmo rimasti pochi giorni. Ma noi non abbiamo intenzione di cedere”.

Le cisterne sono ora al collasso e l’impianto sembra fermo. Ma al fronte delle proteste si sono aggiunti nuovi protagonisti. Il 31 ottobre, infatti, dopo la rottura delle trattative con l’azienda, anche gli operai sono entrati in sciopero per rivendicare miglior condizioni contrattuali. Basta precarietà e contratti a tempo determinato rinnovabili di anno in anno. “E’ stato dimostrato – si legge in una lettera recapitata alla stampa da uno degli operai – che le posizioni del personale impiegato sono permanenti e il loro compito è primario nella produzione di petrolio e gas. I dipendenti ricevono istruzioni direttamente da ENI, e non hanno alcun legame con Adecco e Manpower a parte la firma del contratto. Questo dovrebbe essere in contraddizione con l’articolo 280 del codice del lavoro tunisino”.

di Filippo Del Bubba e Alessandro Doranti