Da Riace in Calabria dove il sindaco ha voluto ripopolare le scuole del paese con bambini figli di immigrati, alle scuole Betti di Bologna dove la musica e la radio sono motivo di scambio e conoscenza tra culture differenti. "Se un educatore non ha la speranza è un semplice addestratore"
Noi domani (Laterza) presentato al Modo Infoshop di Bologna in mezzo ad uno stuolo urlante e saltellante di bimbi è una lettura che molte mamme e babbi imbestialiti dall’invasore straniero dovrebbero accuratamente spulciare pagina dopo pagina per dare un senso alla propria esistenza genitoriale e di cittadini.
Uno dietro l’altro sfilano quegli istituti scolastici che nel loro piano didattico hanno previsto attività di integrazione culturale. Sembra banale, ma non è mai stato automatico. Eppure ce n’è bisogno come l’aria che respiriamo. Il futuro è multietnico e i bambini possono, come spesso accade, insegnare parecchio.
Ex maestro anche in una scuola di Baricella in provincia di Bologna, autore di fiabe per bambini, Ongini lavora dal 1994 all’Ufficio integrazione alunni stranieri del Ministero dell’Istruzione e ancora vi rimane nonostante i tagli della Gelmini. Da lì ha intuito qual è il funzionamento reale della scuola italiana: “Ci sono quasi 58mila scuole in Italia: in 500 di esse viene superata la percentuale del 50% di presenze di alunni stranieri e in una trentina di queste si supera l’80%; in 15mila si supera il 10%”.
I numeri parlano chiaro. Lentamente il panorama italiano si sta colorando di bimbi con genitori rumeni, cinesi, albanesi, marocchini. L’immigrazione della seconda generazione, i cittadini italiani del prossimo ventennio.
“Una buona scuola è tale solo se è legata al territorio”, ha spiegato Graziella Giovannini, sociologa dell’educazione, nel presentare il volume, “e in questo libro le sorprese non arrivano soltanto dai territori cosiddetti “accoglienti”, ma anche da luoghi dove il tema dell’immigrazione è motivo continuo di scontro politico come in Veneto”.
Ecco allora i figli degli immigrati della Costa d’Avorio che nelle scuole della Valle Maira salutano in francese quando entra la preside, l’orto coltivato a libri in una scuola di Treviso, le scuole dei piccoli indiani sikh nei paesi della pianura padana, le maestre poliglotte del quartiere Ballarò a Palermo, lo studio del latino in una classe elementare nella periferia di Genova con una percentuale altissima di figli di immigrati ecuadoregni.
Senza dimenticare le scuole dell’infanzia Betti di Bologna: 25 bambini, 50% di nazionalità straniera o mista, fino a qualche anno fa in via Libia e oggi al centro del giardino della Montagnola. Nel 2009 inizia il progetto Radio Betti 3 dal mondo – Onda libera infanzia. Le maestre e le dade della Betti prima inventano l’incontro di musiche e danze provenienti dalle diverse culture, con i genitori e i figli che portano a scuola cd con brani del loro paese di provenienza e i bimbi sono invitati a scatenarsi a ritmo. Poi arriva l’esperienza in radio: una trasmissione ospitata nel programma di Michele Pompei a Radio Città del Capo dove i bimbi chiedono di ascoltare la musica che preferiscono e attraverso l’etere di mettersi in contatto coi genitori che nel frattempo li ascoltano dai loro luoghi di lavoro. Il risultato è di una dirompente comicità e reciproco scambio tra “cinni” di culture differenti, con il franco ed innocente stupore di alcuni: “pensa che mi ha ascoltato mia zia che abita a Cesenatico”.
Noi domani oltre alla presentazione dell’informazione di cronaca letteralmente sconosciuta, è come un libro di ricette per il futuro: mostrando il segreto per una convivenza migliore di quella odierna. Buonismo? Macché. Come spiega Ongini: “Se un educatore non ha la speranza è un semplice addestratore”.