Numerosi ed autorevoli commentatori – tra i quali il redivivo sindaco-filosofo Massimo Cacciari – ci stanno spiegando, in queste ore d’ansia collettiva, che c’è un solo modo per affrontare l’emergenza: un governo serio (ovvero senza Berlusconi) che obbedisca agli ordini dell’Europa. Ovvero agli ordini della BCE, della Germania e della Francia. In altre parole bisognerebbe rassegnarsi ad un commissariamento di fatto. Davvero non esistono alternative percorribili? Non è che qualcuno sta approfittando dell’emergenza per far passare provvedimenti iniqui (e magari incostituzionali) senza pagare dazio?

In realtà c’è chi sostiene che un altro modo ci sarebbe, per uscire dalla melma rifiutando al contempo i ricatti di chi, con l’alibi dei dettami europei, si appresta a falcidiare quel che resta del welfare. Per esempio gli analisti di “Sbilanciamoci!”, la rete (ne fanno parte 47 organizzazioni) che dal 1999 presenta ogni anno una “Contromanovra” finanziaria. Ecco le proposte pubblicate ad agosto 2011:

  • tassazione dei patrimoni del 5%1000, con una limitata franchigia per i patrimoni più bassi (21miliardi di euro);
  • tassazione aggiuntiva del 15% sui capitali rientrati grazie allo scudo fiscale (15 miliardi);
  • riduzione del 20% delle spese militari, cancellazione del programma dei caccia F35 (rinunciare alla costruzione di 131 cacciabombardieri), fine della missione in Afghanistan e cancellazione delle grandi opere (10 miliardi).

Basta (basterebbe..) una calcolatrice per capire quante risorse, anche a prescindere dalla crisi, si potrebbero recuperare senza bisogno di provocare ulteriori drammi sociali. Solo i ragazzi delle piazze indignate – quelli che “siamo il 99%” – sembrano non rassegnarsi ai tagli imposti da Bruxelles: “Perché tagliare le pensioni senza aver prima tagliato le spese militari?”, argomentano. Il nuovo pensiero unico fatica a farsi strada. Per chiedere i sacrifici annunciati bisognerebbe, come minimo, dare quel “buon esempio” da molti invocato e praticato da pochissimi, dentro e fuori il Parlamento. E questo che alcuni intellettuali eccessivamente “realisti” non vogliono capire quando, alzando il ditino, respingono schifati ogni ipotesi alternativa all’obbedienza dei dogmi europei.

Cosa c’è di più “antipolitico” del farsi imporre l’agenda politica dalla Banca Centrale Europea. L’impressione è che sia in corso un maldestro tentativo di sostituire il morente pensiero unico neoliberista con un nuovo pensiero unico: “l’unico modo per affrontare la crisi è ubbidire alla BCE”. In altre parole si pretende di rimediare ai danni provocati dagli stregoni delle borse con le ricette dettate dai banchieri (spesso complici del disastro: basti pensare ad Antonio Fazio, fresco di condanna per la vicenda dei furbetti del quartierino). Invece il dettato della BCE viene spacciato come strada obbligata: o mangi questa minestra o salti dalla finestra. Un ricatto paragonabile a quello che Marchionne vorrebbe imporre agli operai Fiat: “O accettate le mie condizioni o me ne vado dall’Italia”.

Eppure gli italiani, per quanto disinformati, non sembrano volersi rassegnare a un destino apparentemente segnato. Se, come molti sostengono, l’unico governo buono è quello in grado di applicare alla lettera questa ricetta, allora tanto varrebbe abolire le elezioni, i partiti, il Parlamento e – perché no – la Costituzione. Tutti parlano (parlano e basta) di tagli ai costi della politica. Di questo passo non ci sarà bisogno di tagliare nulla: il suicidio della politica ucciderà anche le istituzioni. Con l’acqua sporca della cattiva politica si rischia di gettare via anche il bambino della democrazia.

Basterebbe – forse – ricominciare a “fare politica”, per liquidare Berlusconi e restituire all’Italia la dignità perduta. Sì, perduta: chi oggi non si vergogna di essere italiano, non è un patriota. È un cieco. A parte improvvisare agitati un improbabile orgoglio nazionale (nazionalpopolare), ferito dalle umiliazioni di chi, non senza qualche ragione, da tempo non distingue più il nome e la reputazone di Berlusconi da quella degli italiani, non s’intravede una reale capacità collettiva di reagire al declino. Mai come in questi anni si fatica a vedere un vero e proprio popolo italiano. Non per colpa di un federalismo che non c’è. Ma per la perdita generalizzata del senso di appartenenza ad una comunità, piccola o grande che sia.

Mentre l’Italia fa ridere gli stranieri e piangere gli italiani, l’opposizione al regime berlusconiano – nonostante il favore dei sondaggi – continua a bisticciare su questioni di metodo: alleanze, primarie, ricambio generazionale, legge elettorale, seggi… Il Pd è il primo partito italiano? Sì, ma è una mezza verità: da tempo il primo “partito”, purtroppo, è quello dell’astensione. Ennesima dimostrazione che il vero problema non sono i Matteo Renzi e i Beppe Grillo, ai quali viene ripetutamente appioppata l’insignificante etichetta di antipolitici. Nella diffusione di questo noioso tormentone, anche la stampa non berlusconiana ha le sue responsabilità: chissà perché le liste del Movimento 5 stelle ricevono più critiche (e, in compenso, meno visibilità mediatica) di “movimenti” neofascisti come Forza Nuova..? In Molise il centrosinistra aveva un candidato proveniente da Forza Italia. Ha perso e se l’è presa con i grillini. C’è qualcosa che non va.

Quando Grillo dice che la Costituzione italiana è vecchia e “diversamente democratica” o quando Renzi dice che Marchionne è un genio forse, anziché accusarli di populismo, avrebbe più efficacia dirgli che sono due stronzi. Oppure, meglio ancora, basterebbe spiegare “pacatamente” (ai diretti interessati e, soprattutto, ai loro potenziali elettori) per quale motivo difendere la Costituzione non è affatto una cosa da noiosi conservatori. O ancora basterebbe spiegare a Renzi che non è molto più “giovane” di Veltroni. Al sindaco di Firenze, infatti, piace Adriano Olivetti ma anche Sergio Marchionne.

Se alle critiche e alle controproposte di alcuni suoi iscritti ed elettori, il segretario di un grande partito rispondesse aprendo un confronto serio, pubblico, avrebbe gioco facile nel dimostrare quale abisso – intellettuale oltre che imprenditoriale – separi Olivetti da Marchionne (e Obama da Renzi).

Basterebbe una banalissima citazione di Olivetti per evidenziare l’abisso:

“Nel lavoro intelligente e scrupoloso dei nostri ottocento operai, nello studio metodico e incessante dei nostri quindici ingegneri, c’è la certezza di progresso che ci anima. La lealtà dei nostri lavoratori è il nostro attivo più alto”. Averne, oggi, di imprenditori del genere.

Detto questo i critici di Renzi se la prendono con lui ma in realtà temono il suo candidato ombra: Sergio Chiamparino. Da sempre politicamente vicino a Fassino, Chiamparino è un candidato forte e potrebbe davvero scippare la leadership del centrosinistra a Bersani, Di Pietro e Vendola. Da sempre convinto difensore dei cantieri Tav in Val di Susa, l’ex sindaco di Torino si è dichiarato disponibile in caso di primarie e ha già incassato il sostegno pubblico dell’ex collega Cacciari.

Perché dunque spendere tempo ed energie per criticare il neoblairiano Renzi: non sarebbe meglio rivolgere le proprie ansie verso questa destra, ferita ma ancora drammaticamente aggrappata agli scranni grazie al sostegno di una rete di poteri illegali che pochi magistrati italiani – troppo isolati! – stanno coraggiosamente contrastando? Forse bisognerebbe ricordare all’irresponsabile ministro Sacconi che, fino a prova contraria, gli unici che hanno guadagnato qualcosa dall’omicidio di Marco Biagi sono lui e i suoi compagni di merende. Lo hanno fatto strumentalizzando vergognosamente il suo nome, indebitamente riferito alla pessima legge 30, che nulla aveva a che fare con le idee di Biagi e che in compenso ha contribuito ad aumentare disoccupazione e precariato. Inoltre, come è noto, le brigate rosse e i loro burattinai hanno sempre portato consensi alla destra. Anche in quei “bastardi anni settanta”, quando (1979) Sacconi era il giovane pupillo di De Michelis nel PSI di Bettino Craxi.

Forse il problema siamo noi uomini. Cosa c’è di democratico in una società che, nonostante le donne siano la maggioranza, continua ad affidarsi a un potere prevalentemente maschile (spesso maschilista)? I media preferiscono occuparsi di scontri di piazza e risse verbali. Eppure in questo paese zeppo di bruti e di buffoni, le iniziative politiche più intelligenti e potenzialmente feconde sono di segno femminile. La Rete per la rivoluzione gentile, per esempio. “Insieme perché il nostro Paese trovi nell’esperienza femminile la propria forza rigeneratrice”: è lo slogan di questo gruppo di donne, politicamente impegnate, che si ritroveranno a L’Aquila dall’11 al 13 novembre per la loro prima assemblea nazionale. Non è un partito, anche se molte di loro hanno una tessera di partito in tasca, e non se ne vergognano. Hanno idee chiare, prima ancora che appartenenze:

…Sono le donne che si occupano dei pasti, del benessere e la salute dei propri cari. E sono ancora le donne a preoccuparsi di far quadrare i bilanci familiari utilizzando al meglio le risorse disponibili, e si ribellano quindi contro la TAV, bell’esempio di spreco e di mala programmazione, sono le donne a occuparsi dell’educazione dei figli al rispetto degli altri, e le troviamo in testa alla protesta dei vicentini, a dire NO DAL MOLIN…”.

Dare fiducia alle donne migliori in ogni settore, politica compresa. Potrebbe essere la precondizione per un lungo percorso di rivitalizzazione della democrazia italiana? Un modo per riscattare la reputazione dell’Italia, gravemente compromessa in questo 150° anniversario?

Di certo, se si preferirà affidare le sorti del paese all’ennesimo superman – “tecnico” o “politico”, “dinosauro” o “postmoderno” che sia -, temo che alle prossime elezioni l’astensionismo toccherà vette inesplorate. Ai confini della realtà.

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