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Daniel Ortega, il protagtonista assoluto <br> del Nicaragua degli ultimi 30 anni

Dalle carceri di Somoza alle storiche elezioni libere del 1984. Ventisette anni dopo rimane molto poco del leader rivoluzionario che, come scriveva Time, "faceva vedere rosso a Reagan"

Da oltre trent’anni Daniel Ortega Saavedra domina, fra luci e ombre, al governo o all’opposizione, la scena politica del Nicaragua. La sua parabola sembra non avere fine: sarà ancora lui il candidato del Fsln (Frente sandinista de liberación nacional) alle politiche di domenica 6 novembre, come lo è stato a tutte le elezioni che si sono succedute nella repubblica centroamericana dopo la vittoria dei sandinisti il 19 luglio 1979. Il 4 novembre 1984, a 39 anni, Ortega aveva vinto con il 63 per cento dei voti le prime elezioni libere dopo la caduta del dittatore Anastasio Somoza. Sconfitto nel 1990 dall’ex alleata nella Giunta di ricostruzione nazionale Violeta Barrios de Chamorro (che guidava una coalizione di 14 partiti), non gli era andata bene neanche nei due turni successivi, ma nel novembre 2006 è tornato a essere il presidente di 5,6 milioni di nicaraguensi.

Adesso ci riprova e i sondaggi dell’Istituto M&R Consultores gli attribuiscono il 58,3 per cento delle intenzioni di voto, con un notevole distacco sui principali concorrenti.

Ventisette anni dopo la trionfale vittoria del 1984, Daniel Ortega è lontano anni luce dall’immagine che lo ritrae allora, giovane comandante in divisa verde oliva e immancabili occhiali a goccia, prestare giuramento come primo presidente del Nicaragua non sottomesso all’influenza Usa (e Ronald Reagan armò l’opposizione dei Contras alimentando una guerra civile che fece 30 mila morti).

Per restare al potere l’eroe della resistenza a Somoza – come guerrigliero si fece sette anni di prigione per un attentato alla Bank of America – ha ottenuto dalla Corte suprema di giustizia, nell’ottobre 2009, una sentenza che, rendendo inapplicabili due articoli della Costituzione, gli consente di ottenere il terzo mandato presidenziale. Non solo. Si è anche scoperto fervente cattolico riconciliandosi con il cardinale Miguel Obando y Bravo, acerrimo nemico negli anni Ottanta, e sostenendo, prima della rielezione nel 2006, una legge contro l’aborto terapeutico. Non sorprende che, nel corso degli anni, abbiano lasciato l’Fsln per divergenze politiche con Ortega, personaggi significativi come Carlos Fernando Chamorro, direttore del quotidiano Barricada, il poeta Ernesto Cardenal, ministro della Cultura, Sergio Ramirez, suo vicepresidente nel 1984 che con Dora Maria Tellez, ha fondato nel 1995 l’Mrs (Movimiento renovador sandinista).

Abbandonati gli slogan di lotta dei “cachorro di Sandino” (i giovani volontari sandinisti) della prima ora, ai comizi di Ortega versione 2011 non mancano mai corone di fiori e musiche popolari. Il principale consenso il futuro presidente lo trova ancora, come un quarto di secolo fa, nelle campagne, dove l’indice di povertà è elevato e migliaia di contadini vivono con 1,25 dollari al giorno. Il Nicaragua stenta infatti a trovare la sua strada verso lo sviluppo e la sua economia dipende in gran parte dagli aiuti esterni. Il più importante, quello del presidente venezuelano Hugo Chavez che nel 2010 ha versato 559 milioni di dollari a Managua offrendo petrolio a prezzi agevolati.