Il problema non è dimettersi, ma come farlo. Avere le garanzie per sé e per le sue aziende. “Berlusconi”, disse un insospettabile – ma comunque sospettato – Marcello Dell’Utri, l’architetto di Forza Italia – “si mette a far politica per salvare le sue aziende”. Fininvest aveva 5 mila miliardi di lire di debito, e non erano uno scherzo. Con l’amico Craxi sulla via di Hammamet, la formidabile macchina da guerra che sognava l’allora segretario del Pds Achille Occhetto lo avrebbe strangolato.
La situazione, a distanza di 17 anni, si ripete, ma al contrario. Il Cavaliere è pronto a lasciare, ma vuole garanzie, personali (processi e indagini) e per le sue aziende. È per questo che il fu re Silvio in queste ore si è blindato ad Arcore prima di presentarsi al Quirinale. E attorno al tavolo non ci sono Rubacuori o starlette: ci sono lui, Fedele Confalonieri, Piersilvio e Marina, i figli che le aziende di casa le guidano. Non è andare via: Berlusconi lo sa da un pezzo che entro la fine dell’anno avrebbe dovuto lasciare il governo. L’autunno caldo era paventato già prima dell’estate.
Poi ci sono stati Cannes, l’irrigidirsi dei mercati, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, ma sono eventi. Non fossero stati loro, ci sarebbe stato altro. È vero, la situazione è precipitata all’improvviso, ma il misurarsi una volta al mese con quello strumento di conteggio che è la fiducia, non era certo il termometro di una sua stabilità.
Il momento è arrivato. Oggi, al massimo domani o tra una settimana, Silvio Berlusconi lascerà il governo. Manca il metodo. Il vertice di famiglia, allargato nel tardo pomeriggio all’avvocato Niccolò Ghedini, uscirà con una serie di richieste. E a Berlusconi, più che il destino personale (ha pur sempre 75 anni, non è automatico per lui che si aprano le porte di una cella) interessano le aziende, in particolare l’impero editoriale che da questa stagione esce massacrato. C’è un problema di credibilità da ricostruire, ma – soprattutto – un valore economico delle che non è più quello di qualche anno fa. Il suo gruppo in questi dieci anni è precipitato. Nel 2000 Mediaset, Mediolanum e Mondadori valevano in Borsa 11,06 miliardi di euro. Oggi il gruppo a Piazza Affari è stimato poco sopra i 2 miliardi di euro. Ha perso molto di più rispetto a quanto i mercati in generale abbiano lasciato per strada. Senza contare quella palla al piede che si chiama Endemol, sulla quale pesano 2,2 miliardi di debito.
Uscire dal Quirinale senza garanzie vorrebbe dire il massacro imprenditoriale di colui che si proclamò – e qualcosa da dire ci sarebbe – l’unico e insostituibile esempio di self made man all’italiana. Ma se l’opposizione non è mai davvero riuscita a impensierirlo, l’Europa – guidata da due governi di centrodestra pur diversissimi come il tedesco e il francese – ha già condannato il Cavaliere. La sentenza sarà eseguita in Italia; nessuno, tanto meno lui, sa come. Ma è stata pronunciata Oltralpe. Se Berlusconi avesse lasciato un mese fa la strada sarebbe stata più facile, oggi trovare le garanzie che lui vuole è molto, molto più difficile. E il Paese non ha più tempo.