La decisione arriva alle 12 e 41. La partita in programma nella serata di ieri tra Napoli e Juventus viene rinviata a causa del maltempo. Lo decide la Prefettura del capoluogo campano che, nel pieno della crisi dovuta alla pioggia battente che sta colpendo tutta la regione, ritiene opportuno intervenire per impedire a 60 mila persone o giù di lì di muoversi da casa per raggiungere lo stadio. Ma c’è di più. Già, perché secondo quanto riportano le agenzie che hanno seguito lo sviluppo degli eventi, i rappresentanti di Provincia e Comune non vogliono spostare gli uomini delle forze dell’ordine impegnati a badare all’ordine pubblico. L’emergenza va affrontata al meglio delle possibilità, una partita di calcio può aspettare, le priorità sono altre. Stop. La Prefettura si assume la responsabilità di mettere la firma sull’ordinanza che ferma la gara. E la notizia arriva via tv anche ai due club, che prendono atto e cominciano a ragionare sul giorno più adatto per disputare l’incontro (30 novembre o 14 dicembre, a giorni si saprà).
“Purtroppo i fatti di questi giorni prevalgono sul resto e il calcio non può e non deve vivere al di fuori della realtà”, scrive sul sito della società bianconera l’amministratore delegato, Beppe Marotta. Gli fa eco il direttore generale del Napoli, Riccardo Bigon, che dichiara: “Prendiamo atto della decisione, la condividiamo con il sindaco e con il prefetto. Per la prossima data ci dovremo adeguare per forza”. Quindi, tutto a posto, la partita non si gioca perché è giusto che non si giochi per ragioni di logica e di buon senso, si tratta soltanto di capire come e quando la Juventus tornerà in Campania per recuperare la gara. Poco più che una formalità secondo alcuni, un mezzo pasticcio per molti altri, perché gli impegni sono tanti e ognuno, come da copione, tende a fare il proprio gioco. Esce il sole su Napoli, è da poco passata l’ora di pranzo e sui campi di Napoli e dintorni si comincia a giocare. “Ma perché non si è giocato al San Paolo, era allagato?”: è quanto cominciano a chiedersi i tifosi del pallone che non capiscono la scelta della Prefettura. No, il San Paolo era agibile, anche gli spogliatoi non erano allagati come ci si poteva aspettare. E allora, ecco l’ipotesi dei maligni che fa capolino poco dopo sulla stampa on line e in alcune trasmissioni tv: non sarà che il Napoli ha fatto pressione sulle autorità per rinviare la gara perché era reduce dalla gara di Champions contro il Bayern e molti dei suoi giocatori erano stanchi?
Apriti cielo. Il calcio si guarda allo specchio e incontra le malizie di sempre. Quelle che non badano ai guai del quotidiano perché il pallone ha la precedenza su tutto e tutti. E se Adriano Galliani, ad del Milan, fa sapere che “a San Siro non si rinvia, perché ci sono le idrovore sotterranee che assorbono l’acqua”, evidentemente non considerando che la Prefettura di Napoli non ha preso in considerazione nemmeno per un istante le condizioni del campo da gioco del San Paolo, l’ex portiere della Juventus, Michelangelo Rampulla, si spinge ancora più lontano e nel corso della trasmissione tv “Diretta stadio” (7Gold) arriva a dire che “a Napoli le sparatorie sono frequenti, all’ordine del giorno… tante persone muoiono a Napoli, quindi se in passato le partite sono state disputate si doveva giocare anche stasera… un morto a Pozzuoli è come se ci fosse stata una sparatoria, e quindi non c’era motivo di rinviare la partita”. Sulla vicenda, con altri toni, interviene anche Gianni Petrucci, presidente del Coni, che condivide la scelta di non disputare la partita, ma fa notare che “sarebbe stato opportuno avvisare anche la Lega di serie A e le società”. Che fanno capire di non aver gradito troppo l’attesa di alcune ore prima di ordinare il rompete le righe ai loro giocatori.