“Chiedo scusa, ero in bagno”. Finisce in farsa l’epopea parlamentare di Silvio Berlusconi, sconfitto alla conta dei voti sotto il peso delle defezioni ufficiali e del tragicomico tempismo del deputato Malgeri, cui si deve la battuta del secolo. Lo score finale recita formalmente 308 a 0, un risultato più che beffardo che certifica in via definitiva quanto si era ormai capito da tempo. Il rendiconto è passato, ma la maggioranza non esiste più. Ergo, Berlusconi è arrivato al capolinea. Il suo governo non ha più speranze di vita.
Mentre il premier si allontana, circondato dai suoi fedelissimi, Piazza Affari ha davanti a sé ancora un’ora di contrattazioni. Si cerca un indizio, un segnale anche debole, una scintilla. Ma per il momento non c’è nulla da fare. L’incertezza regna sovrana, per questo il mercato offre solo indicazioni contraddittorie. Resta positivo l’indice Ftse Mib, trascinato verso l’alto dal recupero dei bancari (grande giornata per Intesa, ma anche Unicredit non se la passa male) ma resta sul livello di guardia lo spread Btp/Bund, che alle 18 sfonda quella quota 500 che agita il sonno di Italia ed Europa. L’impressione, tutto sommato, è che sia troppo presto. Occorrerà attendere la giornata di domani, un’intera tornata di scambi, insomma, per capire come il fronte finanziario saprà rispondere al terremoto politico. Nella speranza, s’intende, che lo scenario possa diventare più chiaro.
Tutto rimandato, insomma. Ma nella generale incertezza qualche punto fermo può già essere individuato. Primo, la Bce non basta più. Mario Draghi ha rotto gli indugi, il rischio di esporsi alle critiche del club della Bundesbank non è nemmeno più contemplato tanto più che il sostegno all’Italia è diventato ormai l’imperativo di un’Europa sempre più preoccupata. Tradotto, la Bce continua a comprare massicciamente i titoli italiani nella speranza di sostenerne il valore. Solo che ormai i suo sforzi sono a mala pena calmieranti: l’ondata speculativa dei fondi Usa è a dir poco dirompente, le banche e i risparmiatori non vogliono più i titoli della Penisola e il risultato è che la situazione non migliora. Lo spread oscilla mediamente in zona 480 punti, 0,1% in più, 0,1% in meno. Ma la svolta non arriva. Per invertire la tendenza occorrerebbe convincere i tradizionali investitori di lungo termine, ma per far questo serve una svolta politica. E qui arriviamo al secondo punto della questione.
Le dimissioni di Berlusconi non bastano, occorre un esecutivo tecnico, o comunque di larghe intese, per rassicurare Ue, Fmi e “business community”. Un paio di mesi di stallo in attesa delle elezioni sarebbero semplicemente deleteri di fronte all’inevitabile paralisi decisionale che questi facilmente implicherebbero. Non è questione di “giusto” o “sbagliato”, non c’entra nulla il dibattito su Bce, commissariamento e democrazia. E’ semplicemente un dato di fatto: i mercati hanno scommesso sulla connessione “governo tecnico/ripresa”, ovvero danno quasi per scontato che alla formazione di un nuovo esecutivo seguirà un rialzo. E come abbiamo avuto modo di dire in questi giorni, nel mercato queste profezie si avverano quasi sempre da sole.
Terza ed ultima questione: le misure in agenda. Comunque vada la strada del prossimo esecutivo è ormai tracciata. Va bene gli interventi a favore della crescita ma la priorità resta quella contabile. E’ necessario ridurre in fretta il peso del debito per cancellare al più presto ogni dubbio sulla nostra solvibilità. Difficile dunque ipotizzare che i prossimi interventi non includano una patrimoniale d’emergenza. Tutt’altro che da escludere, al tempo stesso, l’eventuale ricorso al prelievo forzoso sui conti correnti. Provvedimenti impopolari, certo, ma anche, con ogni probabilità, terribilmente necessari per invertire la tendenza dei mercati. E va da sé, assai più adatti a un governo d’emergenza senza ambizioni di continuità piuttosto che a un esecutivo chiamato a cercare e a mantenere nel tempo un difficile consenso elettorale.