Quanti siano esattamente, è difficile dire. Gli italiani tra i 25 e i 35 anni che scelgono l’Australia in cerca di una vita migliore sono tanti, tantissimi. Arrivano con in tasca un visto turistico o un working holiday visa, che permette un soggiorno di un anno, e poi si danno da fare per restare.
Quello che è certo è che quaggiù non si parla più di “fuga di cervelli”, ma di un esodo. La “nostra diaspora”, la chiama Andrea Buonaguidi, che ha fondato Melbournepuntoit, un network di aggregazione per i nuovi arrivati. “Sulla mia pagina Facebook di Melbourne siamo 750. Abbiamo titoli di studio e professionalità diversi. In comune c’è aver lasciato l’Italia alla ricerca di una vita migliore”, racconta.
Buonaguidi insegna in un liceo, e nel tempo libero crea siti web per gli italiani in fuga dall’Italia: ha già collezionato 53 tra nazioni e città, dall’Africa a Parigi, tutti siglati puntoit. “3.800 ragazzi consultano le mie pagine, ma è la comunità australiana la più unita, forse per la distanza che ci separa dall’Italia. Quaggiù stiamo creando una nuova Italia, più forte, ottimista nel futuro”.
A Sydney ci sono tre strutture che si rivolgono agli italiani appena arrivati. Il Coasit (un’associazione che prende fondi sia dal governo italiano che da quello australiano, ndr) ha incaricato un altro nuovo arrivato, il messinese Marco Zangari, di aprire uno sportello dedicato ai giovani italiani. Poi c’è Sydneypuntoit, gemella di Melbournepuntoit ma più piccola, e poi Il Faro, un’associazione che presta aiuto pratico (traduzioni e consulenze gratuite con esperti di visti), fondata lo scorso anno da Marco Cocurullu e Max Civili. Cocurullu, che a Sydney è arrivato cinque anni fa per sposare un’australiana, ha creato ‘Il Faro’ con l’intento di aiutare chi arriva senza un visto di lavoro e senza conoscere nessuno. “La nostra associazione, che non ha scopo di lucro, mette in contatto i nuovi migranti con le offerte presenti nel mercato australiano. Tantissimi vogliono vivere qui, ma ottenere un visto non è facile come qualche anno fa”, spiega.
Secondo i dati del Department of immigration, sono quasi 60mila gli italiani (studenti e turisti) che tra il 2010 e il 2011 sono sbarcati in Australia. Il doppio di dieci anni fa, dicono al Bureau of Statistics. Quanti siano i ragazzi che restano non è un dato estrapolabile, ma si sa che quest’anno 812 italiani hanno ottenuto il certificato di residenza australiano, contro i 707 del 2009/2010.
“Non c’è dubbio. Per giovani l’Australia è il nuovo Eldorado”, sostiene Concetta Cirigliano Perna, presidente dell’Associazione donne italo-australiane. Perna, che ha organizzato un convegno proprio sulla nuova emigrazione dall’Italia, ritiene che “il vero scoglio è ottenere un visto per poter lavorare”. Lo sa bene Barbara Romeo, quarantenne, che per vivere a Sydney è costretta a pagare costosissimi corsi professionali sperando di ottenere un permesso di residenza. “Sono diventata una studentessa di professione. Se smetto di studiare perdo il visto, e se studio nessuno mi assume – sospira – Ma è sempre meglio che tornare in Italia”.
Per Claudio Marcello, presidente della Filef, la storica associazione che da quarant’anni offre aiuto e contatti sindacali agli emigranti, siamo davanti a “una nuova emigrazione di massa, paragonabile a quella che negli anni Sessanta ha portato in Australia la maggior parte della popolazione di origine italiana. La differenza è che allora a partire era gente senza educazione, che veniva da zone rurali poverissime, mentre ora sono giovani specializzati o laureati”.
E’ il caso di Martina Cesano, laurea alla Bocconi, che in Australia ci era venuta inizialmente solo per fare uno stage e un Master in Marketing. Tornata in Italia però, non è riuscita a trovare altro che stage non pagati e promesse di contratti a termine che immancabilmente svanivano. Di fronte a prospettive inesistenti, è ripartita alla volta di Sydney, dove in due sole settimane ha trovato un lavoro in un’azienda che le ha offerto un contratto a tempo indeterminato, uno sponsor e quindi un regolare visto di lavoro.
La conclusione la offre Andrea Buonaguidi: “In Italia c’è la tendenza a reprimere le capacità degli altri. Qui in Australia ti danno sempre un “fair go”, una possibilità di dimostrare quello che vali. Ma arriverà il momento anche di una diaspora al contrario, e allora saremo noi, i ragazzi scappati all’estero, che torneremo in Italia per aggiustare le cose”.