Politica

La provocazione leghista: sì a Bignasca <br> L’alta Lombardia annessa al Canton Ticino

“Meglio i prati elvetici della palude romana”. Con queste parole un amministratore varesino del Carroccio si è accodato alla proposta del capo della Lega ticinese che ha detto di vedere con favore l'allargamento della Svizzera italiana alle provincie settentrionali lombarde

Umberto Bossi assieme al capo dei leghisti ticinesi Giuliano Bignasca

“Meglio i prati verdi della Svizzera che la palude romana”. Con queste parole Matteo Bianchi, giovane e intraprendente sindaco leghista di Morazzone (Varese), maroniano di ferro e vicinissimo all’associazione autonomista “Terra Insubre” (bandita nel 2010 da Umberto Bossi dal palco di Pontida), si è accodato alla proposta formulata nei giorni scorsi dal capo dei leghisti ticinesi, Giuliano Bignasca, che ha dichiarato di vedere con favore l’allargamento della Confederazione all’alta Lombardia, facendo della regione insubrica un unico grande cantone svizzero.

Parole che non sono passate inosservate in un territorio come quello delle province di Como, Varese, Sondrio e Lecco, dove la vicina Svizzera ha sempre esercitato un certo fascino, soprattutto tra i leghisti nostrani, che negli anni l’hanno eretta a modello della sospirata efficienza amministrativa federalista. Sebbene restino una boutade, le parole del “nano” Bignasca non sono nemmeno da prendere troppo alla leggera, visti i crescenti consensi che il suo partito anti-italiano riesce a racimolare nel Cantone. Così il leader della Lega dei Ticinesi ha lanciato il sasso sicuro di fare centro e il sindaco di Morazzone gli ha fatto volentieri da sponda, solleticando l’immaginario della gente che “al di qua del confine vive un malessere che è arrivato oltre i livelli di guardia”.

Bianchi poi spiega che “le province al confine con la Svizzera sono tra le più produttive della penisola italiana e di tutta l’Europa. Per contro, abbiamo un residuo fiscale nei confronti della Repubblica italiana che è abominevole, ovvero diamo molto di più di quanto riceviamo dallo Stato centrale”. Di fronte ad una simile posizione le polemiche sono quasi scontate. Il primo ad alzare la voce è stato un consigliere di opposizione del comune di Morazzone, Giancarlo Cremona, che ha scritto al presidente della Repubblica e al Prefetto di Varese per chiedere azioni contro il suo sindaco, in risposta alle dichiarazioni lesive dell’integrità dello Stato. Circostanziando il suo intervento, anche in risposta a chi gli ha chiesto di dimettersi, Bianchi ha poi calcato nuovamente la mano: “I due terzi dei cittadini vedono la Confederazione elvetica come una sorta di terra promessa. L’idea dell’annessione non è stata di certo mia, ma ho risposto semplicemente ad un invito di un rappresentante politico ticinese dicendo che ci starei subito perché riporterebbe la giusta equità fiscale e tributaria ai nostri territori. E come me, credo molti altri amministratori locali sposerebbero l’idea di Bignasca. Bisogna continuamente sottolineare come lo Stato italiano rapini i nostri territori laboriosi, dove, pagato 100 dai contribuenti, ai Comuni torna solo 4”.

Poi chiosa dicendo che in una situazione di oggettiva difficoltà, è normale cercare “di cambiare aria, andando a produrre ricchezza per qualcun’altro che può garantire un futuro migliore”.

Evidentemente, lo spauracchio della secessione che il Senatùr ha rispolverato anche la scorsa estate non convince più. L’idea bossiana della Padania sta tramontando persino tra i leghisti più convinti, tanto che ora qualcuno inizia a cercare rifugio in nuovi orizzonti, come quello di un’Insubria annessa alla Svizzera, progetto non meno bizzarro della creazione di uno Stato autonomo, ma forse non ancora così logoro.

A dar man forte al borgomastro di Morazzone, è intervenuto anche il leghista ticinese Norman Gobbi, Consigliere di Stato del Canton Ticino e presidente della Regio Insubrica, ospite di un convegno organizzato in provincia di Varese proprio dall’associazione Terra Insubre: “Da attenti osservatori, senza velleità moralizzanti o paternalistiche, vediamo un’Italia confusa e un po’ schiava di un sistema politico assai complesso e vetusto, incapace di rendere responsabili gli amministratori locali – ha detto Gobbi -. Se la delega arriva dall’alto, senza necessariamente mettere i mezzi a disposizione, è ovvio che il sistema si inceppi”. E poi conclude: “Se il sistema politico e amministrativo risponde in prima persona delle sue responsabilità, allora puoi misurare il valore del tuo contributo fiscale e apprezzarne le sue ricadute locali, cantonali e nazionali. Questo permette il federalismo […] dove ognuno porta la responsabilità e non può delegare la colpa della sua inefficienza”.