Il presidente Bachar al Assad non è attendibile, il piano raggiunto con la Lega araba la settimana scorsa è morto e sepolto e non è da escludere che la Francia riconosca come legittimo il Consiglio nazionale siriano. A chiarire la nuova posizione di Parigi è il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, nel corso di un’intervista rilasciata a un quotidiano arabo.

La Francia, insomma, prova a ripartire dal vicolo cieco che sembra essersi rivelato, almeno al momento, il piano raggiunto lo scorso 2 novembre tra la Lega araba e i delegati di Damasco che avrebbe dovuto portare, tra l’altro, all’immediato stop delle violenze, all’ingresso di osservatori internazionali nel Paese e alla liberazione di tutti i prigionieri politici. Dopo aver bollato l’accordo come “morto”, Juppé sembra ora pronto a spingere sull’acceleratore per riportare Parigi in testa alla lista dei mediatori internazionali.

“Non è la prima volta che il presidente al-Assad promette qualcosa e poi fa il contrario”, ha commentato il capo del Quai d’Orsay aggiungendo come “si è dimostrato una volta ancora che non possiamo fidarci di lui”. Motivo per il quale Parigi potrebbe riconoscere presto il Consiglio nazionale siriano, nato ad agosto e formato da 140 dissidenti in patria e all’estero.

L’annuncio di Parigi arriva, fra l’altro, proprio nel giorno in cui Washington fa sapere che le sanzioni internazionali contro Damasco, approvate nei mesi scorsi dagli Usa e dall’Unione europea, starebbero dando i loro frutti. Il Dipartimento di Stato Usa, infatti, ha ricevuto “informazioni e rapporti d’ambasciata sugli effetti (delle sanzioni) sulle finanze del regime” e sottolineato che il numero delle defezioni di membri dell’esercito starebbe “aumentando”.

Fondamentale, insiste il Dipartimento di Stato a otto mesi dall’inizio dei massacri, è riuscire a “fermare il flusso di denaro che il regime impiega poi per finanziare l’insurrezione armata contro il proprio popolo”, in modo che “chi prosegue a sostenere Assad ci pensi due volte (prima di farlo ancora)”.

Ma c’è anche da dire che gli effetti delle sanzioni di Usa e Ue – che prevedono il congelamento di fondi di decine di società vicine al regime, la sospensione dei visti per molti degli uomini forti di Assad e il blocco delle importazioni di petrolio da parte dell’Ue – sono ridimensionati dal fatto che, all’interno Nazioni unite, Cina e Russia continuino a mostrarsi irremovibili, e il mese scorso abbiano opposto il veto su una possibile risoluzione.

Nel frattempo l’opposizione siriana, almeno quella che si riunisce sotto la sigla del Consiglio nazionale siriano (Cns), prosegue la sua strada con un pressing sulla Lega araba che dovrebbe riunirsi ancora sabato prossimo al Cairo. E in una lettera chiede all’organizzazione di “adottare una posizione forte ed efficace contro il regime, adeguata rispetto ai pericolosi sviluppi della situazione”. Ovvero, come il Consiglio aveva già chiesto, che si arrivi alla sospensione di Damasco dalla Lega araba.

Gli esponenti all’estero del Cns, inoltre, sono al lavoro anche su un altro fronte. E si preparano a una serie di “visite urgenti” in Algeria, Sudan, Oman e Qatar con lo scopo, fra gli altri, di spianare la strada a un possibile riconoscimento del Consiglio come unico legittimo rappresentante del popolo siriano.

Nel Paese, intanto, proseguono le violenze. E dopo Homs, dove secondo gli attivisti “è in atto un disastro umanitario” che ha causato “l’uccisione di oltre 110 persone”, l’esercito ha iniziato a bombardare anche la città Hama, nella zona centro-occidentale del Paese, uccidendo almeno tre civili e ferendone una decina. Attivisti siriani in Libano riferiscono, inoltre, anche di rastrellamenti nella città rimasta ormai senza corrente elettrica e del tutto isolata dal resto del Paese.

Che sia in atto un’ulteriore recrudescenza della repressione emerge anche dalla correzione del bilancio delle vittime riportato proprio oggi dalle Nazioni unite, che hanno fissato a 3500 il numero dei morti. Ben 500 in più in appena un mese.

di Tiziana Guerrisi

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