Le notizie sulle alluvioni “improvvise”, sul cuore debole di Cassano, sulle barzellette governative, sulla crisi greca che non è solo greca, sulle elezioni di Miss Mondo e sulla disintossicazione da sette religiose di qualche starlette nazionale, hanno relegato il mondo arabo in secondo piano.

Ormai Gheddafi è morto (poco importa che sia stato ucciso come un cane) e il nuovo premier libico ad interim, Abdul Rahim Al Qeeb, ha detto che il suo esecutivo sarà annunciata fra quattro settimane (poco importa anche da chi sarà presieduto questo fantomatico governo di unità nazionale). In Tunisia gli islamisti di al-Nahdha hanno vinto le prime elezioni libere sconfiggendo i laici del Partito Democratico Progressista e la carneficina siriana è stata condannata anche dalla Lega Araba; dopo il riconoscimento della Palestina da parte dell’Unesco, il governo israeliano ha dimostrato il suo interesse per cultura, scienza ed educazione congelando il proprio contributo economico all’organizzazione delle Nazioni Unite. Inoltre ha accelerato la costruzione di nuovi insediamenti e si è gettato a capofitto in pericolosi preparativi bellici nei confronti dell’Iran, conflitto che il delirante primo ministro Benjamin Netanyahu e i suoi compari, il ministro della Difesa Ehud Barak e quello degli Esteri Lieberman, sognano da sempre, con l’avvallo della democrazia americana.

Notizie che in questi giorni non interessano. Il mondo arabo ha già dato. Quasi undici mesi di prime pagine. È ora di tornare alle starlette, alle barzellette di governo e opposizione, alle stomachevoli dichiarazioni che se ci fosse stato Bertolaso, fatto Santo in questi giorni, in Italia non ci sarebbero state le alluvioni.

E allora, da questa modernità fatta di credenze medioevali, tanto per dare informazioni che probabilmente non interessano a nessuno, qualche pillola sparsa dallo Yemen, dove nonostante il totale menefreghismo nei media occidentali, il fermento non si placa. All’aeroporto di Sana’a sono stati depositati i corpi senza vita degli otto istruttori dell’aviazione siriana giunti nello Yemen a fine ottobre per formare e addestrare gli uomini dell’aeronautica militare yemenita. Il loro aereo è precipitato per un guasto tecnico sull’aeroporto di Al-Anad, utilizzato, negli ultimi mesi, dall’esercito.

Il presidente-maresciallo Saleh ha dichiarato domenica scorsa che avrebbe delegato il potere al suo vice, Abd Al-Rabu Mansuer Hadi, che è attualmente in viaggio negli Stati Uniti, ufficialmente per cercare un sostegno dall’amministrazione americana, in realtà per farsi curare in qualche costosissimo ospedale per acciacchi non ancora identificati.

Fonti vicine al governo riferiscono che siano transitati per Aden 700 milioni di riyal sauditi trasferiti poi, via Yemenia Airlines, a qualche paese del Golfo. Non si è ancora capito se il malloppo sia stato donato dalla monarchia saudita al governo di Saleh per cercare di arginare le rivolte o se faccia parte dei beni privati del presidente.

A Ta’izz altri dieci civili sono morti a seguito degli ennesimi scontri fra oppositori al regime e forze governative. A Sana’a sono sfilati due cortei. Quello dei rivoltosi della generazione Facebook&Twitter era piuttosto numeroso, quello dei lealisti fedeli al governo un po’ meno.

A Sana’a, il wadi as-Sailah, che quando è in secca è la strada principale in direzione nord-sud e che divide la città vecchia dalla via dei gioiellieri e da midan al-Tahrir, ora è in piena e trascina con sé rifiuti e macchine. I dabab (i taxi collettivi) vengono spazzati via dalla corrente. I manifestanti possono comunque raggiungere la piazza utilizzando uno dei numerosi ponti che collegano le due sponde del corso d’acqua/strada.

Il prezzo del gas da cucina è duplicato creando molti problemi alle famiglie. L’aumento varia da un governatorato all’altro. A Sana’a, il prezzo di una bombola è passato da 7 a 15 dollari. La carenza di bombole di gas può essere attribuita agli scontri che si verificano quotidianamente sulla strada Ma’rib-Sana’a. Comprare il gas a Sana’a è sempre stata un’impresa epica. Si esce di casa con la bombola adagiata sopra una carriola da cantiere, si percorrono le strade della città vecchia e ci si unisce alla calca urlante davanti alla porta del “mercato del gas”. Da una finestra i venditori prendono le bombole vuote che vengono passate di mano in mano e ne danno di nuove. Poi si torna a casa, sperando che i cilindri siano stati riempiti fino in fondo. Una bombola utilizzata da una famiglia di cinque persone di solito dura venti giorni. In diverse abitazioni, dopo l’aumento del prezzo, si sta utilizzando la legna per preparare i pasti. Nonostante lo Yemen sia, dopo il Qatar, il più grosso produttore di gas naturale nel mondo arabo, il governo importa gas scadente dall’Oman per vendere 15.000 barili al giorno di nazionalissimo gas naturale liquido a società francesi.

Il mio amico Mohamed abita con sua moglie e i suoi due figli in una casa semi abusiva costruita sul dorso del gebel Nogum, da dove si domina tutta Sana’a. La casa l’ha costruita lui. Mohamed fa l’autista, non è un muratore, un geometra, un architetto. La casa di Mohamed confina con altre case semi abusive. Il governo chiude un occhio perché Mohamed e i suoi vicini lavorano per società gestite da stranieri o di servizio alla comunità straniera. Sua moglie dà il suo contributo alla globalizzazione preparando i peggiori spaghetti che io abbia mai mangiato, ma li cucina con tanto amore che di solito è d’obbligo il bis.

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