Società

Vivisezione, meglio Bartlett o la Brambilla?

Chi soffre di più dentro le gabbie di uno stabulario: un gatto o un cane? E sarà peggio iniettare veleno nel cervello di un topo oppure in quello di una scimmia? Se lo chiedete a un etologo o a un animalista, vi dirà che sono scelte improponibili sia in termini morali sia perché l’angoscia e il dolore sono uguali per tutti.

Invece, se lo chiedete a Roscoe G. Bartlett, vi dirà che a ogni passo ci imbattiamo in una scelta da fare, e che la sua, da poco messa nero su bianco, ha quanto meno il pregio della chiarezza. Repubblicano del Maryland, Bartlett è il promotore di una legge bipartisan che invita il Congresso americano a mettere fine alla vivisezione. Una mossa che negli Stati Uniti ha fatto scalpore, anche se non riguarda tutti gli animali bensì solo gibboni, bonobo, gorilla, orangutan e scimpanzé, vale a dire le grandi scimmie antropomorfe, il cui Dna sembra così simile a quello dell’uomo.

Laureatosi in medicina, quando lavorava per la Navy’s School of Aviation Medicine, Roscoe G. Bartlett di primati e grandi scimmie ne ha conosciuti parecchi. Non per giocarci ma per sottoporli a esperimenti  che nel migliore dei casi si possono definire traumatizzanti. Baker, una femmina di scimmia-scoiattolo, è sopravvissuta a un lancio nello spazio grazie a un respiratore inventato da Bartlett. Il partner di Baker invece è morto poco dopo il rientro sulla Terra. E ai loro compagni le cose sono andate anche peggio. “A quel tempo” ha raccontato il congressista repubblicano in un editoriale pubblicato dal New York Times l’11 agosto scorso, “credevo che le mie ricerche giustificassero il dolore inflitto agli animali (…), ora non più”. Oggi Bartlett pensa che sia indispensabile ricorrere ai metodi di ricerca sostitutivi che sono “meno cari, più veloci e più affidabili”, e sapere che “per il solo fatto di soggiornare dentro uno stabulario gli scimpanzé vengono privati dei necessari riferimenti fisici, sociali ed emotivi”, con gravi conseguenze psicologiche e comportamentali.

Di pentimenti illustri è costellata la storia della vivisezione. Ma quello di Bartlett ha un risvolto speciale. Ex medico ed ex ricercatore in una delle maggiori istituzioni militari del suo paese, il rappresentante del Maryland è un uomo abituato a rispondere di ciò che fa. E se si espone, lo fa a ragion veduta. Perciò, si può dissentire dalla legge che sponsorizza, perché divide gli animali tra meritevoli di compassione e non; si può constatare con amarezza che esclude dal cerchio della salvezza tutti i fratellini più piccoli delle grandi scimmie antropomorfe (sono almeno 100.000, ogni anno, i primati catturati nel loro ambiente naturale per essere spediti ai laboratori di tutto il mondo). Eppure i concetti e le parole che consegna in modo circostanziato al Congresso americano e alle pagine del New York Times hanno un peso specifico e una portata straordinari. Questi concetti sono: gli animali soffrono, c’è una responsabilità morale della politica nei loro confronti, i mille scimpanzé ancora imprigionati negli stabulari sia pubblici sia privati degli Stati Uniti vanno messi in sicurezza senza perdere tempo. Lasciamoli vivere in pace. Esistono e vanno usati i metodi sostitutivi, che sono più affidabili dei test animali.

Niente a che vedere, purtroppo, con quanto avviene in Italia. La cattiva notizia, infatti, è che anche da noi si parla di vivisezione: quattordici mesi dopo l’approvazione da parte del Parlamento di Strasburgo, la legge a suo tempo bollata come la “vergogna europea”, e cioè la Direttiva 2010/63/Ue sulla “protezione degli animali utilizzati a scopi scientifici”, è approdata a Montecitorio per essere recepita nell’ordinamento italiano.

Generata dal perverso matrimonio tra gli interessi palesi dell’industria chimico-farmaceutica transnazionale e il cieco tecnicismo della burocrazia di Bruxelles, tagliata a misura di svariate migliaia di ricercatori scientifici bene inseriti ai vertici delle Università e degli istituti ospedalieri europei, blindata dentro le inespugnabili ragioni del mercato, la Direttiva sulla vivisezione  non è un argomento con il quale la nostra classe politica ami confrontarsi, meno che mai per criticarla. Che il suo oggetto siano milioni di animali inermi di cui si fa strazio a porte chiuse non migliora le cose, anzi, le aggrava. Infatti, per mettere mano, e magari dire “no”, a una materia tanto oscura e delicata, ci vogliono fegato, compassione per tutto ciò che vive, buone letture (Bentham, Spinoza, Adorno, Horkheimer, Gandhi, Illich, Coetzee…). E non è, palesemente, il nostro caso.

Destinata a tramutarsi in decreto legislativo nel giro di poche settimane, la “Vergogna europea” è brevemente passata per la Commissione Affari Costituzionali della Camera il 18 e 19 ottobre scorsi. Dimenticate Roscoe G. Bartlett: l’accozzaglia di banalità proferite in quella sede non merita di essere trascritta (chi vuole può andare a leggersele qui, alle pagine 140-142. Merita invece sapere che nelle raccomandazioni per il recepimento della Direttiva, il ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla era riuscita a inserire una misura importante per cominciare a scalfire anche in Italia lo zoccolo duro della sperimentazione animale: l’obbligo di destinare ai metodi sostitutivi “almeno il 33 per cento dei fondi”. Importante, sì, ma così insopportabile per lo status quo, che nel giro di 24 ore l’hanno cestinata e dimenticata.

Ora, per fortuna, c’è un’altra data da tenere a mente: il 19 novembre. Per quel giorno, a Montichiari (Brescia) è convocato un corteo nazionale contro Green Hill e contro la vivisezione. Green Hill è l’allevamento di beagle da laboratorio di proprietà della multinazionale Marshall che da quasi due anni è nel mirino degli animalisti e del Comitato fermare Green Hill. Ieri Brambilla ha fatto sapere che a Montichiari, a sfilare contro la vivisezione ci sarà anche lei: “Tutti insieme faremo sentire la nostra voce, in difesa di chi voce non ha”.  Tra deputati e senatori di destra, di centro e di sinistra, credenti o non credenti, pusillanimi, coraggiosi o così così, il nostro Parlamento comprende quasi mille persone: lasceranno Brambilla da sola?