Un nuovo attacco al gasdotto che dall’Egitto rifornisce Israele e la Giordania è avvenuto questa notte. E’ il settimo attacco da gennaio, da quando la rivoluzione di piazza Tahrir ha deposto il presidente Hosni Mubarak. L’ultimo era avvenuto il 27 settembre scorso. Non ci sono state vittime nell’esplosione che è avvenuta a poca distanza dalla città egiziana di Al Arish, capoluogo del governatorato del Sinai settentrionale. Secondo la ricostruzione della Reuters, le esplosioni sono state due, nella località di Mazar, una ventina di chilometri da Al Arish verso il confine con Israele.
Le esplosioni sono state causate da bombe azionate a distanza, secondo la polizia egiziana, e il flusso di gas è stato bloccato. Dalle indagini risulta che gli autori dell’attacco erano sistemati in un due camion, trovati a poca distanza dal luogo dell’esplosione, da cui partivano i fili collegati all’esplosivo. Il governo provvisorio egiziano e il Consiglio supremo militare avevano annunciato dopo l’ultimo attacco, alcune settimane fa, che avrebbero aumentato le misure di sicurezza e sorveglianza lungo l’oleodotto, ma evidentemente non è ancora abbastanza.
L’accordo ventennale di forniture di gas a Israele a prezzo agevolato, siglato nel 2008 dal presidente Mubarak, è stato sempre molto controverso in Egitto. Dopo la deposizione del Faraone, molti gruppi hanno chiesto di rivedere l’accordo che sarebbe troppo favorevole a Israele. Il governo provvisorio e il Consiglio supremo militare, però, hanno ripetuto più volte che questo accordo, così come il Trattato di pace di Camp David (1979) non è in discussione. Israele ha autorizzato l’Egitto a rafforzare la presenza militare in Sinai, contingentata proprio dalle clausole del trattato del 1979, per sorvegliare meglio il gasdotto.
Stando alle autorità egiziane, anche il nuovo attentato sarebbe da attribuire a gruppi estremisti contrari alla fornitura di gas a Israele, che importa dall’Egitto il 40 per cento del suo fabbisogno. Il gasdotto, peraltro, rifornisce anche la Giordania, dove l’80 per cento dell’energia elettrica è prodotto dal gas egiziano, e la Siria.
Secondo altre interpretazioni, però, difese per esempio dallo scrittore Alaa al Aswany, gli attacchi al gasdotto sarebbero opera di gruppi degli apparati dello stato ancora fedeli al deposto Mubarak che in questo modo cercano di far deragliare il processo rivoluzionario innescato dalle proteste di piazza Tahrir.
Le forniture di gas a Israele sono state anche al centro di una controversia giudiziaria, l’anno scorso, con un giudice che aveva ordinato la sospensione della vendita di gas, sulla base del fatto che il prezzo stabilito fosse al di sotto di quello di mercato. La cosa è arrivata fino alla Corte suprema egiziana, che il 27 febbraio del 2010 ha stabilito invece che la vendita poteva riprendere ma che il governo avrebbe dovuto rendere pubblici i termini del contratto con Israele.
L’ultimo attacco, il 27 settembre scorso, aveva bloccato del tutto le forniture di gas, che erano riprese solo il 24 ottobre. Secondo il quotidiano egiziano Al Masry al Yaoum, gli azionisti internazionali della East Mediterranean Gas company, l’azienda che controlla l’export gasifero egiziano, hanno annunciato un’azione legale del valore di 8 miliardi di dollari contro l’Egitto per i mancati profitti dovuti alle interruzioni delle forniture causate dai sabotaggi. Il mese scorso il governo egiziano ha raddoppiato il prezzo del gas venduto alla Giordania e anche una revisione al rialzo del prezzo con Israele potrebbe essere in vista, ma deve essere concordata dalle parti.
Dopo l’attacco di ieri, il governo ha annunciato nuove misure per aumentare la sicurezza dell’impianto, specialmente nella zona di Al Arish, quella dove si sono verificati quasi tutti gli attacchi. Oltre all’installazione di sistemi di sorveglianza elettronica, la sicurezza del gasdotto sarà affidata anche ai pattugliamenti attuati dalle tribù beduine del Sinai.
di Joseph Zarlingo