Pensateci bene: l’avventura politica di Silvio Berlusconi è nata nel conflitto di interessi, ed è stata chiusa dal conflitto di interessi. La dichiarazione della resa del Caimano, che era già pronto a scatenare contro il governo Monti una guerriglia stile vietcong, sfruttando la massa critica degli (almeno) 200 deputati “lealisti” pronti a restare fedeli in ogni caso, è stata firmata dopo la giornata di crollo di Mediaset, con il meno 12% in borsa che segna il punto di non ritorno. E, soprattutto, la telefonata – vera o leggendaria, poco importa – del mitico Ennio Doris che dice: “Altre 24 ore così e non avrai nulla da far ereditare ai tuoi figli”. Poco importa se questa comunicazione ci sia stata davvero, se sia avvenuta in termini così brutali: credo che per il Cavaliere sia stato insostenibile essere tradito, prima dal partito-azienda, e poi anche dalla sua azienda. Non poter cacciare nessuno, e sentirsi invece cacciato dai suoi. Quello che è certo è che il premier uscente ha gettato la spugna, dicendo sì al governissimo, e di fatto innescando il big bang dentro il Pdl. Questa mattina è iniziato davvero il dopo-berlusconi. Ed è iniziato con la dissoluzione del suo partito: oggi tra “lealisti”, “ex-aennini”, “governisti”, “traditori”, e “Governisti traditori”. E’ finita per sempre l’era di Palazzo Grazioli: il Cavaliere pensa di essere all’Elba, e invece è già a Sant’Elena, per poter sperare nei cento giorni non doveva dire sì a Monti. Ecco perché dopo aver detto sì, obtorto collo, non gli dispiace che nel partito in queste ore ci sia una rivolta di chi dice per lui il No che non può pronunciare.

Questo sgretolamento del centrodestra, con un pezzo del Pdl che sostiene il governo ammainando la bandiera del berlusconismo, e un altro che lo combatte in nome della nostalgia berlusconiana, modifica il senso dell’operazione nata intorno al nuovo esecutivo. Il governo di Monti, sopratutto se dovesse durare fino al 2013 (come, salvo terremoti sociali e guerriglia di piazza, accadrà) dopo aver demolito il centrodestra, con un effetto solo di poco ritardato può demolire anche il centrosinistra: almeno come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. Intanto ha già demolito quel che restava della leadership di Pier Luigi Bersani, che sarebbe diventato premier con i sondaggi che lo davano vincente in ogni caso, e con ogni coalizione. Che curiosa parabola: dopo aver definito per un anno e mezzo le primarie come “premature” per paura di Vendola, Bersani le ha definite “tardive” per timore di Renzi. Alla fine non le ha celebrate né prima né dopo, ed è stato di fatto archiviato, stretto nella morsa di Veltroni e D’Alema, che – per motivi diversi – hanno tirato la volata al governissimo, lasciandolo solo nella sua parola d’ordine al voto al voto. D’Alema aveva in mente da anni l’alleanza con l’Udc come punto di partenza di qualsiasi cosa. Veltroni riteneva necessaria superare l’ultimo elemento di continuità di leadership del vecchio Pds. Perfida la battuta di Gianfranco Rotondi: “Bersani è assolto per non aver compreso il fatto”. Già, ma cosa accade ora?

Intanto bisogna aggiornare i nostri pronostici sul futuro terminale che ci attende, nel segno della famosa profezia de Il Manifesto che fu. Non volevamo morire democristiani, ma di sicuro non moriremo ulivisti. Quello che accade in queste ore in modo magmatico, sarà più chiaro fra qualche giorno. Certo, bisognerà scorrere la lista completa dei nomi, perché saranno la carta di identità della nuova operazione. Ma il governissimo di Super Mario Monti, comunque la si pensi su di lui e sul suo programma, ha già sortito un esito incredibile. Ha messo termine alla diaspora post-democristiana. Oggi, per la prima volta, sono riunite in un unico contenitore tutte le famiglie nate dallo scudocrociato: ci sono i democristiani di centrosinistra come Fioroni, i centristi come Casini, e quelli emigrati da anni a destra come Alfano. “Il Letta-Letta” (zio-nipote) non è più una battuta, ma una realtà. Se questo governo postdemocristiano transgenico governerà per un anno, magari mettendo mano alla legge elettorale, sarà il cardine di qualsiasi alleanza futura di governo. Una operazione di classico “taglio delle ali”: via Di Pietro, via Vendola, via i grillini – da un lato – via gli ex missini e quel che resta del berlusconismo populista dall’altro. Il prezzo pagato al Cavaliere è molto modico: il salvacondotto virtuale del fido ministro Nitto Palma (o chi per lui) che resta alla giustizia.

Ma tutto questo per fare che cosa? In primo luogo per applicare gli euro-protocolli. E poi per conservare se stessi. La nascita del super-grande centro, la nuova balena bianca, non demolisce il bipolarismo per cattiveria, ma solo perché diventerà un ostacolo alla propria riproduzione. Si può pensare tutto il bene o il male possibile, di questa operazione, una sola cosa è certa: è stata condotta con enorme maestria, ed è stata l’ultima grande manovra di baleneria parlamentare democristiana (sono ex Dc tutti e sei gli ultimi “traditori” del Cavaliere e i registi dell’operazione, dalla Destro a Stagno, all’Sms di Formigoni). Quello postdemocristiano è l’ultimo personale politico che non si è smarrito per strada e che ha mantenuto un senso di solidarietà di gruppo. E infine – la conseguenza logica è questa: ci sono molte possibilità, con il Letta-Letta, di morire casiniani.

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