“Questo film racconta una storia molto semplice che riguarda l’amore. Ci sono tre persone che si amano, ma non possono contraccambiare pienamente il sentimento che provano. L’amore è qualcosa di molto umano, e in quanto tale può essere distruttivo oppure può trasformarsi anche in qualcosa di diverso. Alla fine, Hester scopre di essersi innamorata. E quando si ama davvero si è anche in grado lasciar andare l’altra persona per poi poter trovare il coraggio di continuare. L’amore è estremamente umano”. Ecco come l’inglese Terence Davies ha introdotto The Deep Blue Sea, suo ultimo atteso film presentato nei giorni scorsi all’interno del Focus dedicato alla Gran Bretagna del Festival Internazionale del Film di Roma.
E’ un’opera fuori dal tempo come altre del regista, pregna di malinconia, ricordi, momenti di trascinante passione, lacrime, colori densi, movimenti di macchina guidati da un’emozione palpabile, un filo di manierismo. Trova ancora spazio nel passato l’ispirazione di questo inclassificabile britannico, nei canti, nelle musiche d’epoca che non di rado interrompono la linearità della narrazione per andare dritte al cuore di chi guarda, in un volto di donna da cui vedere il mondo, nella rappresentazione di un universo maschile violento o meschino, nei sonetti di Shakespeare o nello scorcio di una città devastata dalla guerra.
Moglie di un attempato giudice, la bella Hester Collyer trascorre una vita agiata nella Londra degli anni Cinquanta quando per caso conosce un ex-pilota della Raf di cui s’innamora. Sfida le convenzioni, lascia il marito e va a vivere in una stanza in affitto con l’amante, scoprendo presto le insidie e le difficoltà di un sentimento capace di divorare ogni cosa. L’influenza della memoria sul presente agisce anche a livello di ispirazione in un lavoro apertamente debitore dell’estetica del melodramma cinematografico classico: Secondo amore (1955) e Magnifica ossessione (1954) di Douglas Sirk, L’amore è una cosa meravigliosa (1955) di Henry King, L’ereditiera (1949) di William Wyler e il capolavoro Lettera da una sconosciuta (1948) di Max Ophüls sono i titoli cui il cineasta ha affermato di aver maggiormente guardato.
Appartato e accorato, elegiaco e autobiografico anche quando si ispira a fonti preesistenti, Davies torna al cinema di finzione a più di un decennio dal raffinato La casa della gioia (2000), cui seguì il bellissimo Of Time and the City, documentario sulla sua Liverpool. Nelle sale inglesi dal 25 novembre – mentre della distribuzione italiana purtroppo non si sa ancora nulla – The Deep Blue Sea è tratto dall’omonima pièce teatrale del commediografo e sceneggiatore britannico Terence Rattigan, già portata sullo schermo da Anatole Litvak in Profondo come il mare (1955) con Vivien Leigh nel ruolo che oggi è della radiosa Rachel Weisz e da Anton Giulio Majano nel televisivo Il profondo mare azzurro (1969).