Cultura

Giorgio Scerbanenco, il milanese di Kiev
Il ricordo della città a cent’anni dalla nascita

Oggi una tavola rotonda presso la Triennale con Natalia Aspesi, Gianni Canova, Piero Colaprico, Luca Crovi, Adolfo Francia, Ermanno Paccagnini e Roberto Pirani (ore 17.00, saletta Lab, ingresso gratuito)

di Matteo Lunardini

Milano è una città di frontiera, cantava Ivano Fossati. Una città talmente aperta che i suoi uomini illustri spesso non sono nemmeno di Milano. Semplicemente sono nati da un’altra parte. Basta pensare a Sant’Ambrogio e a Giuseppe Verdi. Ma anche a Giorgio Scerbanenco, il milanese di Kiev. Il suo detective Duca Lamberti e i suoi romanzi segnarono un’epoca, inventando un nuovo genere letterario. Tuttavia, come spesso capita a chi va di fretta, in vita non gli riconobbero i meritati riconoscimenti. Per riparare al torto la “sua” città tiene una serie di iniziative a cento anni dalla nascita. Oggi una tavola rotonda presso la Triennale con Natalia Aspesi, Gianni Canova, Piero Colaprico, Luca Crovi, Adolfo Francia, Ermanno Paccagnini e Roberto Pirani (ore 17.00, saletta Lab, ingresso gratuito). E domenica 22 una biciclettata sui “luoghi di Duca Lamberti” organizzata da Ciclobby (ore 10,00, piazza Leonardo a Vinci).

Scrive Carlo Oliva, nella sua “Storia sociale del giallo”, che “Duca Lamberti riuscì a diventare quello che né il commissario De Vincenzi, né don Ciccio Ingravallo avevano potuto essere: l’eroe che il poliziesco italiano aspettava da 30 anni”. Fino all’arrivo di Scerbanenco, infatti, i gialli in Italia non sono un genere di successo. A Milano, durante il Ventennio, ci prova Augusto De Angelis, ma Il suo De Vincenzi, commissario della questura di piazza San Fedele, non ha grande fortuna. Viene riscoperto da Oreste Del Buono dopo la morte dello scrittore, avvenuta per mano dei fascisti sul lungolago di Como nel 1944. Mentre per Ciccio Ingravallo, il protagonista del “Pasticciaccio”, Carlo Emilio Gadda non pensa a Milano, né al suo dialetto: ma alla via Merulana di Roma.

Dunque alla letteratura gialla mancava un po’ di milanesità. E un po’ di pepe. A colmare il vuoto ci pensa Giorgio Scerbanenco. È il 1966 l’anno in cui le storie di Duca Lamberti, un medico radiato per aver praticato l’eutanasia e che lavora per la questura, ora spostata in via Fatebenefratelli, vengono per la prima volta pubblicate da Garzanti (sempre per merito di Oreste Del Buono). È il successo che Scerbanenco aspettava da una vita. A quei tempi la Milano criminale non ha ancora vissuto l’epopea dei gangster e delle bande, né conosciuto gli inseguimenti tra polizia e criminali che poi sfociano in massacri, come accadrà nel 1967 per colpa della banda Cavallero. Scerbanenco anticipa la storia e in un certo senso la inventa, tanto che, si diceva, Turatello e Vallanzasca lo leggevano di nascosto per sapere “come si fa”. Infatti dopo di lui l’epica criminale a Milano non sarebbe più stata la stessa.

Ma anche il cinema deve molto a Scerbanenco. I suoi racconti e romanzi, o soltanto i loro titoli, diventarono film di genere trasformando il poliziesco in poliziottesco. Il più celebre è Milano calibro 9, tratto da tre racconti diversi ma curiosamente non dal racconto omonimo, Milano by calibro 9, il quale invece ispirò La mala ordina. Altre trasposizioni furono I ragazzi del massacro, La morte risale a ieri sera (tratto da I milanesi ammazzano il sabato) e Venere Privata. Film di serie B, si diceva una volta, come di serie B erano tutti i gialli, compresi quelli di Duca Lamberti. Eppure oggi, di quella iper-realtà fatta di ammazzamenti e sangue, paradossalmente ci resta il suo lato più realista, i luoghi di una Milano anni Settanta che Scerbanenco descriveva nella sua crudezza e i set cinematografici proponevano così com’erano. Ma anche la musica, perché le colonne sonore di quei film, gli Osanna, Morricone, Bakalov, sono ancora oggetto di culto. E sicuramente, senza la fantasia del “milanese di Kiev”, Quentin Tarantino non sarebbe quello che è diventato.

Ironia della vita, Scerbanenco morì il 27 ottobre del 1969, non appena ottenuto il successo. Si era ammalato lavorando in fabbrica, perché nella vita per sbarcare il lunario aveva dovuto fare di tutto, anche l’operaio presso la Borletti di via Costanza a Milano. Come per una maledizione, la palazzina liberty che ospitava l’opificio, e in cui ambientò qualche suo racconto, è ancora al suo posto, abbandonata al degrado e abitata da fantasmi che troverebbero tranquillamente spazio tra i ragazzi del massacro. E a chi ci passa di fianco la sera tardi, mentre l’imbrunire fa posto alle tenebre, sembra di sentire nitidamente un ticchettio. È la Lettera 22 di Scerbanenco che scrive.

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