Governo tecnico o di larghe intese che sia, l’importante è che sia moderno, lungimirante, innovativo.
L’importante è soprattutto che non commetta l’errore di continuare a pensare – o meglio far finta di pensare – come gli inquilini di Palazzo Chigi ormai sfrattati, che Internet sia un lusso e che, pertanto, si debba attendere a investire in banda larga e nuove tecnologie il giorno nel quale – non è chiaro come – saremo finalmente fuori dalla crisi.
Questo Governo, quello dimissionario, ha sbagliato tutto in termini di politica dell’innovazione o, meglio, non ha fatto assolutamente nulla se non preoccuparsi che la Rete non sottraesse telesudditi – e quindi potere – alla televisione del tele-tiranno e investitori pubblicitari – e quindi soldi – alla televisione di Sua emittenza alias il tele-tiranno di cui sopra.
Gli spot sulla Pa digitale del ministro Brunetta, la sua Pec, la Cec-pac e gli emoticons multicolore al pari dell’approccio pantelevisivo del ministro Romani al web hanno reso il Paese un’isola analogica in un mondo digitale e ci hanno relegato – è la Commissione Europea a ricordarlo in modo inequivoco – tra gli ultimi in Europa in termini di diffusione dell’uso di Internet tanto per il commercio elettronico che per il dialogo tra Pa e cittadini.
Esiste – e solo un Governo miope e in perenne conflitto di interessi come quello del quale la crisi ci sta per liberare ha potuto fingere di non saperlo – un rapporto diretto e scientificamente provato tra lo sviluppo dell’infrastruttura di telecomunicazione a banda larga e la crescita economica ed esiste una relazione altrettanto evidente – come dimostra oltre ogni ragionevole dubbio – tra la diffusione dell’acceso alla Rete tra i cittadini e il loro livello di libertà di parola e di partecipazione alla vita politica del Paese.
Il nuovo Governo – chiunque sia il nocchiero incaricato di portarci fuori dalla crisi – non potrà prescindere dal dare al Paese un’agenda digitale e dall’attuarne a ritmo serrato le tappe.
Un ministro dell’Internet nella nuova compagine di Governo sarebbe, probabilmente, una scelta in grado di rassicurare il Paese e gli osservatori internazionali sul fatto che, finalmente, anche da noi qualcosa è cambiato davvero e che non siamo più il Paese del tele-comando nel quale dai processi alle leggi, tutto accade nel salotto televisivo di Vespa.
Banda larga, alfabetizzazione informatica, open data e open government, e-Democracy, incentivi alla ricerca e all’innovazione e promozione della cultura digitale sono le parole chiave che non devono mancare nel nuovo programma di governo.
Senza sarebbe un dejà vu inutile e dannoso perché il Paese non può permettersi di ritardare ancora nell’attuazione dell’agenda digitale europea.