Le dimissioni di Berlusconi senza voto di sfiducia e con la prospettiva di un governo tecnico rappresentano una via di fuga per l’ex premier. Potrà ricandidarsi nel 2013, non necessariamente con il Pdl, con scarse possibilità di vincere.
Ma ha una possibilità che non avrebbe avuto se i cittadini fossero stati chiamati subito alle urne. Il suo partito non lo avrebbe fatto candidare se ci fossero stati meccanismi democratici per la scelta del leader e anche se Berlusconi li avesse forzati, sarebbe poi uscito sconfitto dalle urne, stando a ciò che dicono i sondaggi da un anno.
Non è finito politicamente, ancora di meno culturalmente. Non ha bisogno di essere in politica per fare politica: l’armamentario di giornali, televisioni, case editrici, proprietà e relazioni, l’eredità familiare e politica, gli permetteranno di essere al centro della scena praticamente fino alla sua morte.
L’uomo, lo sappiamo tutti, non ha un carattere particolarmente propenso alla resa. E fino a pochi giorni fa ero certo della sua ricandidatura. Ora meno. Esistono ancora tutti i presupposti sia politici che economici che organizzativi, ma bisognerà valutare una variabile imprevista: l’impatto emotivo di tre mazzate che ha subìto nel giro di poche ore.
Prima: il tradimento dei fedelissimi. La fuga di Antonione e della Carlucci lo ha devastato. Nelle sue poche dichiarazioni pubbliche dopo il secondo comunicato di Napolitano, quello che eliminava ogni dubbio sulle sue dimissioni, la parola ‘tradimento’ è stata usata assai di frequente. Anche nel citare Frattini come esempio di lealtà sembrava pensasse a qualcun altro. Proprio lui, che aveva fondato le sue fortune su un rapporto gerarchico familistico, quasi tribale, con i membri dei suoi partiti, subiva il ‘tradimento caldo’, non solo politico ma soprattutto personale.
Seconda: la lezione dei mercati. Il conflitto di interessi, mai combattuto adeguatamente per via politica, ha avuto imprevedibili effetti sistemici. La globalizzazione finanziaria ha beffato Berlusconi. Governare per difendere i propri interessi ha funzionato in Italia, ma lo stesso percorso logico, al contrario, lo ha devastato politicamente: nell’attacco speculativo all’Italia Mediaset è stata colpita in misura molto maggiore. Hanno attaccato le aziende di famiglia per indurlo a lasciare il controllo del Paese. E questo spauracchio potrebbe anche indurlo a non tornare mai più in politica.
Terzo: la festa del popolo. Il popolo sovrano, che lo aveva premiato anche quando i media lo attaccavano, che si era appassionato (anche morbosamente) alla sua vita, che aveva attaccato l’opposizione anche quando la maggioranza non riusciva a fare nulla di buono per il Paese, ha festeggiato la sua dipartita. Molti hanno paragonato l’entusiasmo della piazza del Quirinale al lancio di monetine dell’hotel Raphael. Per me, invece, si tratta di due immagini profondamente diverse tra loro. Se i cittadini, con Craxi, manifestarono rabbia, con Berlusconi hanno manifestato gioia. “La miglior vendetta? La felicità. Non c’è niente che faccia più impazzire la gente che vederti felice” (Alda Merini).
La caduta di Berlusconi è figlia di tanti paradossi. E soprattutto dell’assenza di coraggio politico della maggioranza che lo ha sostenuto. Berlusconi cade proprio a causa delle anomalie che ha coltivato e grazie al quale ha potuto governare così a lungo.
Una legge elettorale che trasforma in Parlamentari in dipendenti del capo di turno da un lato, in personaggi che non rappresentano gli elettori (e dunque rispondono solo a se stessi) dall’altro.
I vitalizi dei parlamentari, senza i quali si sarebbe andati al voto già un anno fa, grazie ai quali si è fatto di tutto per evitare le elezioni e che per questo motivo ha reso più concrete le prospettive di un governo tecnico che, per le stesse ragioni, dovrebbe durare fino a fine legislatura.
L’assenza di una legge sul conflitto di interessi, che ora mette in gravissimo pericolo le aziende di famiglia che, inevitabilmente, saranno esposte all’umore dei mercati nei confronti di Silvio Berlusconi non solo in quanto imprenditore ma anche come politico e come uomo.