La crisi italiana, ma non solo italiana, ha cause complesse, in parte determinate dell’irresponsabilità della finanza internazionale, priva di seri controlli pubblici, ma le cui conseguenze hanno colpito in modo devastante i paesi molto indebitati, come il nostro, che ha fatto la “cicala spendacciona”, e che in più, rispetto ad altri, non cresce, cioè non sembra generare abbastanza entrate fiscali da ripagare il debito. Parlare di “speculazione” è privo di senso: prestereste soldi a bassi interessi a qualcuno che dà scarso affidamento sulla sua capacità di restituirveli? Lo fareste solo chiedendo interessi molto alti (o non glieli prestereste affatto, ma questo lo farebbe fallire, cancellando la possibilità che vi restituisca quelli che gli avete già prestato).
Ora i trasporti, come abbiamo visto, dal punto di vista delle finanze pubbliche si dividono in due tipi: quelli che assorbono soldi pubblici (ferrovie e servizi urbani) e quelli che generano entrate, rilevantissime, allo stato, che sono i trasporti stradali. Questi sono fatti, non opinioni.
Ora, la conseguenza politica immediata è semplice: bisogna decidere le priorità sociali, se i soldi pubblici sono pochi. E questo richiede un dibattito democratico che finora le “cicale politiche” italiane non hanno mai voluto fare: è più importante la sanità, l’istruzione, la casa, la tutela di chi perde il lavoro, o la mobilità pubblica? Nessuno con questo intende, come invece fanno tutti i “coccodrilli politici” (lo zoo si allarga), che occorra tagliare servizi essenziali per chi non ha la macchina, ma di farli pagare almeno come nel resto d’Europa.
Una cosa particolarmente paradossale riguarda le ferrovie locali: i treni più socialmente utili non richiedono molti sussidi. Infatti i treni pieni sottraggono inquinamento e congestione alla strada, servono a tante persone, e si pagano anche con tariffe ragionevolmente basse. Praticamente tutti i sussidi vanno ai treni semivuoti, facilmente sostituibili con autobus, anche sulle lunghe distanze (forse non tutti sanno poi che le categoria a più basso reddito, gli extracomunitari, viaggiano sulle lunghe distanze in autobus, che costano meno del treno pur non essendo sussidiati dallo stato). Cioè, noi non sussidiamo i trasporti ai più poveri, che se li pagano da sé.
Ma queste osservazioni gettano un’ombra lunga anche sulle politiche di trasporto europee, che continuano a scommettere per ragioni ambientali sulle ferrovie, cioè sul modo “mangiasoldi”. Ora, i benefici ambientali attesi dipendono da quante merci e passeggeri lasceranno la strada per la ferrovia (con conseguente perdita di ricavi e aumento di costi per le casse pubbliche). Si potrebbero forse anche accettare questi sacrifici (cioè la rinuncia ai soldi necessari per altri servizi sociali), se si fosse ben certi dei risultati. Ma dopo trent’anni di politiche severissime di tassazione della strada e di sussidi al trasporto pubblico, i risultati appaiono molto modesti.
L’ipotesi di puntare su politiche ambientali basate sull’innovazione tecnologica del modo dominante, quello stradale, sembra una alternativa da considerare con la massima attenzione, visto che già l’industria automobilistica (non certo per buon cuore) sta investendo fiumi di soldi su propulsori innovativi.
Obiezione possibile: ma rimane irrisolto il problema della congestione. Vero, ma l’Europa è già satura di automobili, e demograficamente non cresce. Non ci sono rischi di “asfaltatura del territorio”, se si fanno un po’ di strade in più dove servono. E non si può dimenticare che il suolo non viene sottratto all’agricoltura, ma a un sistema di iniqui sussidi. Se questi cessassero, e si lasciasse che i paesi più poveri del mondo ci vendessero i loro prodotti, ogni “scarsità di suolo” in Europa cesserebbe dalla sera alla mattina. Ma questo è un altro discorso….
Marco Ponti
Già ordinario di Economia, Bridges Research Onlus
Economia & Lobby - 13 Novembre 2011
I trasporti e la crisi
La crisi italiana, ma non solo italiana, ha cause complesse, in parte determinate dell’irresponsabilità della finanza internazionale, priva di seri controlli pubblici, ma le cui conseguenze hanno colpito in modo devastante i paesi molto indebitati, come il nostro, che ha fatto la “cicala spendacciona”, e che in più, rispetto ad altri, non cresce, cioè non sembra generare abbastanza entrate fiscali da ripagare il debito. Parlare di “speculazione” è privo di senso: prestereste soldi a bassi interessi a qualcuno che dà scarso affidamento sulla sua capacità di restituirveli? Lo fareste solo chiedendo interessi molto alti (o non glieli prestereste affatto, ma questo lo farebbe fallire, cancellando la possibilità che vi restituisca quelli che gli avete già prestato).
Ora i trasporti, come abbiamo visto, dal punto di vista delle finanze pubbliche si dividono in due tipi: quelli che assorbono soldi pubblici (ferrovie e servizi urbani) e quelli che generano entrate, rilevantissime, allo stato, che sono i trasporti stradali. Questi sono fatti, non opinioni.
Ora, la conseguenza politica immediata è semplice: bisogna decidere le priorità sociali, se i soldi pubblici sono pochi. E questo richiede un dibattito democratico che finora le “cicale politiche” italiane non hanno mai voluto fare: è più importante la sanità, l’istruzione, la casa, la tutela di chi perde il lavoro, o la mobilità pubblica? Nessuno con questo intende, come invece fanno tutti i “coccodrilli politici” (lo zoo si allarga), che occorra tagliare servizi essenziali per chi non ha la macchina, ma di farli pagare almeno come nel resto d’Europa.
Una cosa particolarmente paradossale riguarda le ferrovie locali: i treni più socialmente utili non richiedono molti sussidi. Infatti i treni pieni sottraggono inquinamento e congestione alla strada, servono a tante persone, e si pagano anche con tariffe ragionevolmente basse. Praticamente tutti i sussidi vanno ai treni semivuoti, facilmente sostituibili con autobus, anche sulle lunghe distanze (forse non tutti sanno poi che le categoria a più basso reddito, gli extracomunitari, viaggiano sulle lunghe distanze in autobus, che costano meno del treno pur non essendo sussidiati dallo stato). Cioè, noi non sussidiamo i trasporti ai più poveri, che se li pagano da sé.
Ma queste osservazioni gettano un’ombra lunga anche sulle politiche di trasporto europee, che continuano a scommettere per ragioni ambientali sulle ferrovie, cioè sul modo “mangiasoldi”. Ora, i benefici ambientali attesi dipendono da quante merci e passeggeri lasceranno la strada per la ferrovia (con conseguente perdita di ricavi e aumento di costi per le casse pubbliche). Si potrebbero forse anche accettare questi sacrifici (cioè la rinuncia ai soldi necessari per altri servizi sociali), se si fosse ben certi dei risultati. Ma dopo trent’anni di politiche severissime di tassazione della strada e di sussidi al trasporto pubblico, i risultati appaiono molto modesti.
L’ipotesi di puntare su politiche ambientali basate sull’innovazione tecnologica del modo dominante, quello stradale, sembra una alternativa da considerare con la massima attenzione, visto che già l’industria automobilistica (non certo per buon cuore) sta investendo fiumi di soldi su propulsori innovativi.
Obiezione possibile: ma rimane irrisolto il problema della congestione. Vero, ma l’Europa è già satura di automobili, e demograficamente non cresce. Non ci sono rischi di “asfaltatura del territorio”, se si fanno un po’ di strade in più dove servono. E non si può dimenticare che il suolo non viene sottratto all’agricoltura, ma a un sistema di iniqui sussidi. Se questi cessassero, e si lasciasse che i paesi più poveri del mondo ci vendessero i loro prodotti, ogni “scarsità di suolo” in Europa cesserebbe dalla sera alla mattina. Ma questo è un altro discorso….
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Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Vogliamo il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica e non lo delegheremo alla Francia e alla Gran Bretagna". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo. "Per avere i granai pieni -ha aggiunto- bisogna avere gli arsenali pieni, la difesa è la premessa della libertà e della democrazia".
Bruxelles, 18 mar. - (Adnkronos) - Le sedici aziende dell’Alleanza “Value of Beauty”, lanciata a febbraio 2024, hanno presentato a Bruxelles uno studio commissionato a Oxford Economics sull’impatto socioeconomico del settore. Il Gruppo L’Oréal, Kiko Milano, Beiersdorf, Iff, e altri grandi marchi dell’industria vogliono inserirsi nello spiraglio aperto dalla Commissione europea per favorire la semplificazione normativa in vari ambiti, e per chiedere un dialogo strategico sul futuro del settore, come già successo per agricoltura e automotive.
Il settore guarda con attenzione alle proposte su una legge europea vincolante per le biotecnologie e alla strategia per la bioeconomia, che la Commissione si impegna a presentare entro la fine dell’anno. Ma guarda con attenzione anche agli sviluppi nelle relazioni commerciali in Occidente alla luce della recente entrata in vigore dei dazi di Washington sull’import dall’Unione europea.
“Cinque delle sette più grandi aziende del settore hanno la loro sede nell’Ue”, ha sottolineato l’amministratore delegato del Gruppo L’Oréal, Nicolas Hieronimus.
A Bruxelles i sedici membri dell’Alleanza chiedono politiche per la produzione sostenibile di ingredienti e la formazione di personale per sbloccare il potenziale del settore. Un aspetto legato, secondo l’amministratore delegato di Kiko Milano, Simone Dominici, all’impatto positivo che la cura del corpo e dell’estetica ha sull’autostima e sulla salute mentale dei consumatori. Aspetti non trascurati dallo studio dell’Oxford Economics presentato all’ombra dei palazzi delle istituzioni europee. Il rapporto mostra che la spesa dei consumatori nell’Ue per i prodotti di bellezza e cura della persona ha superato i 180 miliardi di euro e dato lavoro a oltre tre milioni di persone, un numero che supera il totale della forza lavoro presente in 13 Stati membri dell’Ue. Troppi anche gli oneri per l'industria della cosmetica che rendono necessaria una revisione della direttiva sulle acque reflue. Forte dei 496 milioni di euro generati ogni giorno e dei 3,2 milioni di posti di lavoro, la cordata dei grandi nomi dell’industria della bellezza chiede che tutti i settori che contribuiscono ai microinquinanti nelle acque siano ritenuti responsabili, in linea con il principio “chi inquina paga”.
I riflettori dell’Alleanza, che guarda anche agli interessi di tutti gli attori della filiera - dagli agricoltori ai vetrai, importanti nella catena del valore quanto le case di fragranze - sono rivolti in primis sull’attesa revisione del regolamento Reach (Regulation on the registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), che regolamenta le sostanze chimiche autorizzate e soggette a restrizione nell’Unione europea. L’Alleanza chiede che a questa iniziativa, annunciata nel 2020 come parte del pacchetto sul Green deal, si aggiunga anche una revisione del regolamento sui prodotti cosmetici.
L’appello ha come obiettivo la riduzione degli oneri amministrativi e lo stimolo all'innovazione, senza sacrificare l’approccio basato sul rischio per la salute e la responsabilità per la tutela dell’ambiente. Trasmette ottimismo l’iniziativa della Commissione di considerare delle esenzioni per alcune imprese colpite dalla direttiva della diligenza dovuta che imponeva oneri considerati sproporzionati alle piccole e medie imprese, la colonna portante del settore.
“Vogliamo impiegare più tempo alla sostenibilità, piuttosto che alla rendicontazione amministrativa”, è stato l’appello degli amministratori delegati durante la conferenza stampa che ha preceduto gli incontri istituzionali al Parlamento europeo, tra cui quello con la presidente dell’istituzione, Roberta Metsola. Lo studio presentato dimostra che una parte consistente della cura per la sostenibilità ambientale passa anche dalla cosmetica. L’Oréal ha già annunciato che entro il 2030 il 100% della plastica utilizzata nelle confezioni sarà ottenuta da fonti riciclate o bio-based.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Mandare soldati in Ucraina mentre ci sono i bombardamenti è una pazzia e l'Italia non farà questa scelta". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Gli inglesi sono usciti dall'Europa e adesso ci convocano una volta a settimana, facessero domanda per rientrare nell'Unione europea". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Dei Servizi segreti non si parla nell'Autogrill, si parla nel Copasir, io all'Autogrill ci vado a comprare il panino". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Da oggi sono autorizzato a dire che la Meloni non smentisce l'utilizzo di intercettazioni preventive nei confronti di un giornalista che attacca il Governo. È una cosa enorme, che ha a che fare con la dignità delle Istituzioni. Se non vi rendete conto che su questa cosa si gioca il futuro della libertà, allora sappiate che c'è qualcuno che lascia agli atti questa frase, perchè quando intercetteranno voi, in modo illegittimo, con i trojan illegali, saremo comunque dalla vostra parte per difendere il vostro diritto di cittadini, mentre voi oggi vi state voltando dal'altra parte". Lo ha affermato Matteo Renzi nella sua dichiarazione di voto sulle risoluzioni sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
"Giorgia Meloni va al Consiglio europeo senza una linea, senza sapere da che parte stare, senza aver avuto il coraggio di rispondere a quella frase che lei stessa aveva detto: 'come diceva Pericle la felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio'. Se la felicità e la libertà dipendono dal coraggio, Giorgia Meloni -ha concluso l'ex premier- non è felice, non è libera".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Proprio perché sono una patriota metterò questa nazione in sicurezza, perché come dice la nostra Costituzione difendere la Patria è un sacro dovere del cittadino". Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nella replica al Senato sulle comunicazioni in vista del prossimo Consiglio europeo.