Al Maggiore opera un’equipe in grado di affrontare la sindrome di Moebius, la paralisi facciale congenita che impedisce a neonati di muovere i muscoli del volto. E intanto si scopre che il cervello impara a sorridere
I primi a saper cosa vuol dire, ovvio, sono i genitori dei pazienti: “La nostra Giulia – racconta Caterina De Grandi, da Muggiò in Brianza – teneva gli occhi aperti quando piangeva, la bocca restava sempre socchiusa, il viso era statico fin dall’età di quattro mesi”. Caterina è la moglie di Renzo, un mito nel settore e fondatore dell’Associazione italiana sindrome di Moebius. Nel 1997, quando nacque Giulia, Renzo mandò giù lo scherzaccio del destino e, dopo alcune ricerche su internet, prese un aereo: destinazione Boston, dove era in calendario un convegno su una malattia dal nome strano, la sindrome di Moebius. Che diavolo era? Renzo lo capì subito, notando il volto dei bimbi presenti al congresso: “Erano tutti simili, tutti dall’espressione analoga a quella di Giulia” racconta Caterina.
Al meeting Renzo conobbe un professore importante, una leggenda d’Oltreoceano: Ronald Zuker, microchirurgo del Sick children hospital di Toronto in Canada, il massimo esperto mondiale di Smile surgery. In sala operatoria il medico ricostruiva i muscoli del sorriso.“Quando mio marito gli propose di venire in Italia ad operare, il professore lo liquidò quasi con una risata”. Operare in Italia? “E dove, a casa nostra?” sdrammatizza oggi Caterina, “in Italia nessuna struttura era in grado di replicare l’esperienza canadese”. Nacque così l’idea di unire le forze fondando un’associazione. “A Boston Renzo incontrò una famiglia di Torino, che costituì con noi il primo nucleo dell’Aismo”, l’Associazione italiana della sindrome.
E Parma cosa c’entra? “Parma oggi è l’unico centro in Europa capace di fare quello che fa Zuker in Canada. Per l’ospedale emiliano – dice Caterina De Grandi – abbiamo intenzione di chiedere il certificato italiano di eccellenza”. Per ora il Maggiore ha ottenuto il riconoscimento della Regione Emilia Romagna di “centro autorizzato per prevenzione, sorveglianza, diagnosi e terapia della sindrome di Moebius”. Insieme a Bianchi lavora un’equipe interdisciplinare di cui fanno parte un pediatra, un logopedista, un otorinolaringoiatra, un neurologo, un oculista e un ortodentista: spesso infatti la paralisi facciale comporta disturbi ai nervi ottici, allo scheletro del viso, ai denti, persino ai piedi. L’intervento consiste in un trapianto, con una successiva riattivazione delle funzioni vascolari e neurologiche. Un frammento di muscolo viene prelevato dall’interno delle cosce: “La parte interessata si chiama muscolo gracile – illustra Bianchi – e viene asportata per essere inserita in un’apposita tasca scavata nelle guance del paziente. La grandezza di Zuker sta nell’aver intuito che per riprodurre il sorriso potesse essere usato un nervo destinato ad altra funzione, come il nervo masseterino che serve per la masticazione”.
Dopo la fondazione, nel 2000, la priorità dell’Aismo fu la ricerca di ospedali all’altezza. “Un dentista – racconta Caterina – ci mise in contatto con il professor Enrico Sesenna, direttore dell’unità complessa Maxillo-facciale del Maggiore di Parma”. Bernardo Bianchi, dello stesso reparto, fu il primo chirurgo europeo ad operare insieme a Zuker. “Nel 2003 eseguimmo il primo intervento – commenta Bianchi – da allora oltre 150 pazienti si sono rivolti alla nostra equipe, 40 si sono sottoposti alla Smile surgery per un totale di 52 trapianti microvascolari”. Il Moebius, infatti, è solitamente bilaterale ma esistono anche casi di singola guancia interessata. “Ecco spiegata la discrepanza dei numeri” illustra il chirurgo, che conserva in ambulatorio i disegnini regalati dai bimbi tornati a sorridere. “I risultati dell’intervento, considerata anche la varia gravità dei casi, sono buoni. Nel giro di un anno e mezzo, con l’ausilio della nostra equipe il bambino torna alla quasi normalità”.
Lo conferma Caterina De Grandi: “Oggi la nostra Giulia è una ragazzina di quasi 15 anni assolutamente ben inserita a scuola, senza particolari problemi di relazione. In principio dovevamo stimolarla, chiedendole di sorridere. Oggi lo fa da sola, facendo corrispondere l’espressione ai suoi stati d’animo”. E’ questa la frontiera più estrema e forse inattesa della Smile surgery. E’ il futuro della ricerca, alla quale si stanno dedicando a Parma: ottenere la collaborazione del cervello, produrre il sorriso non più stringendo le mascelle col masseterino ma lasciando che sia il cervello a guidare i muscoli. “Gli ultimi sviluppi sono assolutamente incoraggianti – conclude Bianchi – e sono stati ottenuti insieme al professor Vittorio Gallese, docente di neurofisiologia all’Università di Parma e allievo del professor Giacomo Rizzolati, scopritore dei neuroni specchio”. La plasticità dimostrata delle funzioni encefaliche è sorprendente: “Abbiamo osservato una vera e propria modifica della mappatura cerebrale” dice il medico. Cioè il cervello è stato in grado di riconoscere e riadattare tessuti originariamente preposti – come il muscolo della masticazione – ad altre funzioni. A Parma, forse, mentre i medici restituiscono il diritto all’emozione il cervello sta imparando a sorridere.