Di piano industriale in piano industriale – quello presentato solo lo scorso anno, detto “One 4 C” e quello odierno – Unicredit group cerca di ridisegnare il proprio futuro all’interno del sistema bancario interno e internazionale dopo le sbornie da banca universale dell’epoca Profumo. “Saremo una banca 100% commerciale e vicino alla nostra clientela” ha detto l’amministratore delegato Federico Ghizzoni durante la conferenza stampa di presentazione, intendendo con quest’affermazione che certe operazioni esclusivamente finanziarie del passato non al servizio dei clienti non verranno più messe in cantiere e “per il porto di Trieste ci saranno investimenti, per quello di Rio de Janeiro no”.
Si vedrà. Ma la fisionomia che verrà non è indolore: se la banca tornerà a un modello più tradizionale e al servizio del territorio come chiedono le Fondazioni bancarie azioniste, è probabile che avrà meno possibilità di generare utili in un contesto economico e di mercato difficile e forse anche recessivo come quello italiano. E da qui la necessità individuata dal management di “restringersi, oltre a quella di procedere a un maxi aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro, più simile ad una manovra finanziaria statale che non alla ricapitalizzazione di un istituto. Il nuovo piano individua per l’Italia 5200 “eccedenze” da qui al 2015, pessimo termine per individuare i dipendenti costretti a lasciare il lavoro. Il vecchio accordo firmato lo scorso anno con le organizzazioni sindacali ne prevedeva già 3000, ai quali se ne sommeranno quindi altre 2200. “Non saranno però licenziamenti veri e propri, ma sostanzialmente blocco del turnover” ha puntualizzato Ghizzoni, aggiungendo che “se i sindacati chiederanno i prepensionamenti, siederemo al tavolo per trattare”.
Il primo incontro dovrebbe tenersi la settimana prossima: la data prescelta dovrebbe essere il 23, quando le organizzazioni dei lavoratori conosceranno i primi dettagli sulla tipologia e la dislocazione territoriale dei destinati all’esodo. Parte dei dipendenti potrebbe essere individuata tra coloro che operano in determinate attività dell’investment banking del gruppo, dato che proprio in queste ci saranno disinvestimenti “perché sono attività che generano al momento perdite consistenti”, ma i dettagli saranno oggetto di future comunicazioni. Non è chiaro se ricadranno nei poli di Torino, Verona e Bologna, laddove cioè hanno sede le maggiori fondazioni chiamate a uno sforzo finanziario enorme, come si è visto.
Ghizzoni ha ricordato che il cda ha votato l’aumento di capitale all’unanimità, ma per le piccole fondazioni come Cassamarca e Fondazione Banco di Sicilia potrebbe essere difficile far fronte all’iniezione di capitale, così come per l’ingombrante socio libico che dal capitale potrebbe addirittura uscire. L’ad non si è sbilanciato nel fare nomi, ma circolano indiscrezioni sulla possibilità che si affaccino i fondi sovrani mediorientali o asiatici. La volontà di cambiare pagina la si evince anche dalla maxisvalutazione operata a chiusura dei conti del terzo trimestre dell’anno. Un taglio netto da 10,641 miliardi di euro sullo stato patrimoniale del gruppo che serve a riavvicinare i valori delle attività acquistate nel tempo a quelli più attuali in tempi di forte crisi economica. Secondo l’ad, inoltre, finiranno le scorribande finanziarie internazionali che avevano reso Profumo celebre nei milieu bancari anglosassoni e renani. Grandi operazioni in pool con altri maxi istituti senza nessuna logica di servizio alla clientela, ma solo di profitto immediato.
Profumo ha lasciato in eredità anche il maxi contenzioso con l’Agenzia delle Entrate per l’affare “Brontos”, uno schema fiscale elusivo costruito con la banca inglese Barclays, per il quale la procura milanese ha sequestrato 245 milioni. Il cda della banca proporrà all’assemblea dei soci un’azione di responsabilità? “Queste sono illazioni che non vogliamo commentare” ha risposto un Ghizzoni piuttosto stizzito e in difficoltà. “ Non c’e nessun azione da fare e da proporre” ha affermato lasciando intendere che ben difficilmente il consiglio porterà avanti una richiesta di tal genere, anche se nella sua volontà di non commentare ( la banca ha trattative aperte con l’Agenzia per arrivare probabilmente a un accertamento con adesione) c’era qualcosa di non detto. Il titolo del gruppo, che non distribuirà dividendi relativi all’esercizio 2011, ha chiuso la giornata con una perdita del 6,18% a 0,77 euro circa dopo una giornata di borsa molto volatile nella quale è stato anche sospeso al ribasso.
Una notazione anche sulla partecipazione in Fondiaria Sai, ottenuta dopo il salvataggio del gruppo della famiglia Ligresti costato 170 milioni di euro circa: “Non ci teniamo ad essere soci per molto tempo” ha chiosato l’a.d. “lo abbiamo fatto per salvare i nostri crediti e lo resteremo finché non saranno messi al sicuro”.
di Alfredo Faieta