Non è così. Il berlusconismo paradossalmente ci sarebbe stato anche senza berlusca, come ci sarebbe stato “Drive in” anche senza canale 5. Il sessantotto pecoreccio delle reti mediaset era l’unico che potevamo permetterci, vista la nostra arretratezza su famiglia e i rapporti tra i sessi. Il ciarlatano di Arcore per lungo tempo è stato scritto nel dna sociologico della nazione, ancora immatura dal punto di vista civile e a responsabilità limitata. Dobbiamo riconoscere che pure nel degrado della sua era, nella colpa politica, giudiziaria e mediatica che si è cucito addosso, il berlusconismo ha portato qualche inconsapevole seme di trasparenza. Le balle con cui ha stregato metà della nazione (e già questa quantità basterebbe a spiegarlo) avevano un oscuro lato di verità.
Assediato dalle inchieste ha finito sempre per rivendicare pubblicamente i suoi conflitti e le sue porcherie, di ogni tipo. In questo modo ci ha rivelato un’identità profonda, che appartiene a tutti, anche alla sinistra che non paga le tasse e scrive programmi berlusconiani. Ripercorrere la linea che dalla Prima Repubblica porta alla terza, significa fare un’analisi accurata dell’era Cainana, che urge non considerare come una parentesi storica. Incalzati dalla crisi, non siamo più quell’Italia che lui ha rappresentato, nepotista, arrogante e intrallazzona. Ma neanche quella del professor Monti, vivaddio sobrio ma anche troppo riservato su di sé e sulle sue amicizie. “Grigio” sul potere che frequenta e sulla sua provenienza. Non affrettiamoci a celebrare il ritorno del gessato e della first lady che fa volontariato in un’Italia settantenne tecnodemocristiana, come fa il giornale di Scalfari. Non gettiamo subito via tutto il nano con l’acqua sporca. In questo limaccioso periodo di transizione, lo vediamo ancora tristemente allo specchio, dirci qualcosa.