Enrico Fabozzi è stato eletto nelle fila del Partito democratico e oggi è confluito nel gruppo misto. Su di lui pesa un'accusa molto grave: concorso esterno in associazione camorristica
Il consigliere regionale Enrico Fabozzi, eletto nelle fila del partito democratico, oggi nel gruppo misto è stato arrestato questa mattina dai carabinieri di Caserta per concorso esterno in associazione camorristica. Fabozzi si era autosospeso dal Pd dopo il luglio dello scorso anno quando in una misura cautelare contro il clan dei casalesi, due pentiti avevano fatto il suo nome come contiguo agli interessi criminali. Nel partito c’era chi storceva il naso per la scelta della sospensione, visto il peso politico di Fabozzi, vicino ad Antonio Bassolino e primo eletto a Caserta con più di 10 mila voti. Oggi i vertici regionali del Pd chiariscono: “Allorquando i soli mezzi d’informazione avanzarono sospetti sul possibile coinvolgimento di Enrico Fabozzi in indagini su rapporti tra politica e criminalità organizzata, e anche in assenza di qualsiasi rilievo formale di natura giudiziaria, il Pd ha provveduto da circa un anno e mezzo a sospendere Fabozzi dal partito e dal gruppo regionale. Riteniamo che sui legami tra politica e camorra tutti i partiti hanno il dovere di alzare barriere invalicabili”.
L’ordinanza di questa mattina, firmata dal Gip Alberto Capuano, su richiesta dei pm Ardituro, Parascandolo e Del Gaudio descrive un quadro di “prestigio ed autorevolezza” acquisito dal clan dei Casalesi, fazione Bidognetti, grazie all’accordo con Fabozzi. Sono 15 gli indagati, 9 gli arrestati, oltre a Fabozzi anche imprenditori dell’area casertana come i Mastrominico (Pasquale e Giuseppe) già citati nell’inchiesta sul G8 dell’Aquila.
Per Fabozzi tutto inizia dall’esperienza da primo cittadino del comune di Villa Literno nel 2003. L’accordo era semplice, i voti della camorra in cambio degli appalti da destinare a imprese di gradimento del clan o del Ferraro (imprenditore ed ex consigliere regionale Udeur, arrestato per lo stesso reato un anno fa). Un patto che come si legge nell’imputazione a carico di Fabozzi ha un prezzo. Da una parte i clan, con i soldi degli appalti “acquistavano consistenti liquidità economiche da distribuire ai singoli affiliati e un notevole apporto per il sostegno e il proselitismo delle medesime organizzazioni”, dall’altra il clan conquistava prestigio presso la cittadinanza dimostrando “il controllo degli organi istituzionali locali e del settore economico degli appalti pubblici”.
Il patto inizia con un un accordo con Luigi Guida, detto o’ drink, reggente del clan Bidognetti, fino al 2005 quando viene arrestato e prosegue fino al 2009 quando il comune viene sciolto per condizionamento mafioso ( reintegrato dal solerte Tar). Ma c’è di più a Fabozzi si contesta per l’elezione a sindaco del 2003 anche la violazione della legge elettorale, a raccogliere i voti per lui in quella tornata elettorale fu il clan dei casalesi, con l’attiva partecipazione di Massimo Iovine, killer del gruppo, attraverso il pagamento di piccole somme a famiglie bisognose o attraverso le minacce. Nell’ordinanza viene riportato l’interrogatorio ( 28 settembre 2009) del collaboratore di giustizia Luigi Guida che chiarisce il rapporto con Fabozzi: “Iniziai a interessarmi della vicenda politica di Villa Literno quando poco prima delle consultazioni elettorali da un lato Massimo Iovine mi informò che la fidanzata era imparentata con il candidato Sindaco Fabozzi (…). Vinse le elezioni il Fabozzi e ricordo che il primo incontro che ebbi con lui fu organizzato da Nicola Ferraro che aveva buoni rapporti con il Fabozzi e si tenne proprio presso l’abitazione del Nicola Ferraro a Casal di Principe”. Anche la testa di maiale trovata davanti all’abitazione del sindaco, nel 2007, non era un’intimidazione, ma bensì un segnale di richiamo del clan che voleva incontrare il primo cittadino.
L’accordo con il clan dei Casalesi prevedeva l’assegnazione di appalti in cambio di voti, ma anche l’elargizione di denaro. Fabozzi viene accusato anche di corruzione per aver preso i soldi dall’imprenditore Giovanni Malinconico, anche lui arrestato, per assegnargli un’appalto da 13 milioni di euro. Una sfilza di reati ai quali si aggiunge anche il concorso in riciclaggio per aver reimpiegato i soldi di Massimo Iovine, affiliato al clan, nell’impresa Gruppo casa srl, finita sotto sequestro nel provvedimento parallelo eseguito dalla guardia di finanza.
L’inchiesta ha inizio dall’indagine Normandia, luglio 2010, che porta in galera Nicola Ferraro, uomo forte di Mastella in terra casertana. Ferraro da imprenditore e politico tesse rapporti e media tra il clan e i sindaci di zona, anche quelli di Castelvolturno (indagati in altra inchiesta), Lusciano e Villa Literno. Un ruolo di cerniera, insomma, lo svolge anche tra Fabozzi e la fazione Bidognetti. Il gip precisa che Ferraro, nelle sue funzioni di rappresentante dell’Udeur, riesce a intrecciare due sistemi quello politico clientelare che si affianca con quello criminale e camorristico legato ai Casalesi.
Oltre i pentiti c’è il riscontro delle intercettazioni che dimostrano i colloqui tra Ferraro e Fabozzi. “E’ emerso che Ferraro Nicola – si legge nell’ordinanza – ha avuto rapporti che hanno esulato da ragioni istituzionali e che hanno risposto invece, ad esigenze di tipo imprenditoriale, proprio con il Fabozzi, sindaco di un Comune che storicamente ricade sotto la stringente influenza della fazione bidognettiana del Clan dei Casalesi, e che è stato interessato da cospicui finanziamenti della Regione Campania per la riqualificazione del territorio”. Ferraro da consigliere regionale avrebbe fatto convogliare soldi verso Villa Literno per foraggiare il sistema criminale. Un sistema perfetto per il consigliere Fabozzi, componente della commissione anticamorra della regione e anche consigliere comunale. Lo stesso Fabozzi, nel 2009, viene nominato dai sindaci dell’area presidente del consorzio di bacino Napoli Caserta.
Su youtube c’è il video che lo ritrae davanti ad una folla contrariata dalla decisione, sempre nel 2009, di sciogliere il comune per infiltrazioni mafiose. Fabozzi parla e durante il discorso si lascia sfuggire una frase: “ Per amore del mio popolo”. Una citazione dalla celebre lettera di Don Peppe Diana, il prete ucciso dalla camorra nel 1994. Anche Fabozzi capì di aver esagerato e aggiunse: “ Forse non sono degno di queste parole”.