Il 6 dicembre 2007 un incendio nello stabilimento torinese del gruppo tedesco uccise sette operai. Harald Hespenhahn, condannato con altri cinque dirigenti, sapeva del rischio ma "decise di azzerare ogni intervento di prevenzione", in vista del trasferimento della produzione a Terni
Conosceva i rischi, ma azzerò la prevenzione e la sicurezza. Una scelta “sciagurata”, ma consapevole. Per questo Harald Espenhahn, amministratore delegato della ThyssenKrupp in Italia, è stato condannato a 16 anni e sei mesi di reclusione per “omicidio con dolo eventuale”, una sentenza storica per gli incidenti mortali sul lavoro. Lo scrive il giudice a latere Paola Dezani della seconda sezione penale della Corte d’assise di Torino nelle motivazioni della sentenza per l’incendio del 6 dicembre 2007 sulla linea 5 dello stabilimento in cui morirono sette operai. Oltre all’ad tedesco erano stati condannati altri cinque dirigenti della società: Mario Pucci, Gerald Priegnitz, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri. Contro di loro invece l’accusa, rappresentata dai pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso, aveva contestato il reato di omicidio colposo. A tutti, inoltre, erano contestati “rimozione e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro” e l’incendio colposo aggravato.
Stando a quanto scritto nelle 504 pagine depositate ieri in cancelleria, Espenhahn decise di non fare nulla per la sicurezza degli incendi confidando nei suoi collaboratori, “decidendo di azzerare qualsiasi intervento di ‘fire prevention’ e di continuare la produzione in quelle condizioni”. Perché per l’impianto torinese era già prevista la chiusura, con trasferimento della produzione nello stabilimento di Terni. La situazione complessiva e “gli elementi di conoscenza ed all’alto grado della consapevolezza” dell’ad tedesco inducono “la Corte a ritenere che certamente Espenhahn si fosse ‘rappresentato’ la concreta possibilità, la probabilità del verificarsi di un incendio, di un infortunio anche mortale sulla linea 5 di Torino, e che altrettanto certamente, omettendo qualsiasi intervento di ‘fire prevention’ in tutto lo stabilimento e anche sulla linea 5 e anche nella zona di entrata della linea 5, ne avesse effettivamente accettato il rischio”.
La situazione nell’impianto torinese, che la ThyssenKrupp voleva dismettere in vista di una chiusura, era ben chiara ed Espenhahn conosceva il “fatto che lo stabilimento di Torino fosse privo del certificato di prevenzione incendi” sebbene rientrasse tra le industrie a “rischio di incidente rilevante”. Il manager sapeva anche “in modo approfondito e dettagliato le reali condizioni di lavoro nello stabilimento di Torino e cosi gli impianti, il tipo e il volume delle lavorazioni, gli addetti, i responsabili locali Salerno e Cafueri, le misure antinfortunistiche e antincendio presenti, la gestione e la formazione del personale, la riduzione di quest’ultimo – soprattutto di quello con maggiore preparazione professionale, le carenti pulizia e manutenzione, i frequenti incendi”. Si tratta, spiega il giudice estensore di “omissioni costituenti specifica violazione della normativa antinfortunistica”, normativa che doveva essere controllata da Salerno ma anche dall’amministratore delegato perché “direttamente sotto la sua responsabilità”.
La sua scelta è stata quindi razionale, consapevole, perché “con le sue competenza, preparazione ed esperienza, avendo a disposizione tutto il quadro conoscitivo sopra richiamato”, che va dal processo produttivo agli allarmi sul rischio incendio, Espenhahn “decide di non investire nulla, di non effettuare alcun intervento di ‘fire prevention‘ nello stabilimento di Torino, neppure sulle linee di ricottura e decapaggio, neppure sulla linea 5”. Insomma, continuano, “non si può certo ritenere (…) che tale decisione sia stata presa con leggerezza o non meditata o in modo irrazionale”.
Per questo motivo, si legge nella motivazione della sentenza, Herald Espenhahn, merita “il minimo della pena” prevista per l’omicidio volontario che, in questo caso, calcolando le attenuanti, è di sedici anni e sei mesi di reclusione. Al dirigente tedesco vanno riconosciute le attenuanti generiche perché prima del giudizio la “Thyssen Krupp Ast” ha “risarcito il danno ai familiari delle sette vittime”, ma ha anche tenuto un comportamento giusto durante l’esame davanti alla Corte: “È sufficiente ricordare come egli abbia ‘riconosciuto’ il suo ruolo di datore di lavoro anche per lo stabilimento di Torino, non abbia negato lo stretto controllo che su tale stabilimento egli manteneva, abbia rivendicato a sé la decisione di non effettuare alcun intervento di ‘fire prevention‘ sugli impianti di Torino; tutti dati e fatti che erano già emersi in dibattimento”. Inoltre “si deve dare atto a Espenhahn di essere consapevole delle sue responsabilità e di averlo anche manifestato”.
Per Guariniello si tratta di una “sentenza molto piana” e di un’“eccezionale conclusione di uno dei processi in assoluto più importanti celebrati nel nostro Paese e non solo”. Ora, insieme agli altri sostituti procuratori del gruppo, rifletterà su come portare avanti le indagini sorte durante il procedimento, quello sulle false testimonianze concordate con gli imputati e quella sui controlli annunciati dell’Asl. Tuttavia resta una preoccupazione: entro il 31 dicembre prossimo il pool di pm specializzati in tutela dei consumatori e infortuni sul lavoro verrà smantellato (per un regolamento che impone l’alternanza), vanificando la costruzione di una specializzazione in quest’ambito: “Mancherà ciò che ci ha consentito di fare il processo. Ci vorrà del tempo prima che i nuovi procuratori possano farsi un’esperienza”.