Da qualche anno ha fatto capolino tra i commenti alle varie manifestazioni, italiane e straniere, il parere degli “esperti” sul ruolo che internet come medium gioca, ha giocato o può giocare nei diversi contesti culturali e politici. Per alcuni “il popolo della rete” è diventato una sorta di “quinto stato”, altri invece offrono una lettura più cinica, basata sui dati di accesso a internet o sul cosi detto “slacktivism”, termine coniato per definire l’attivismo pigro, basato solo su condivisioni, firme di petizioni online, partecipazione a gruppi facebook.
Agli occhi degli “esperti” italiani sembra però essere sfuggita una particolare iniziativa che ha trasformato in reali alcuni dei codici linguistici e simbolici che abitualmente siamo abituati a utilizzare in rete.
Nella notte tra il 6 e il 7 novembre Massimiliano Lupo, trentenne creativo e designer free-lance, ha tappezzato la capitale con adesivi di derivazione internettiana. I manifesti politici che deturpano la città sono stati corredati di scritte che richiamavano direttamente al linguaggio utilizzato dai maggiori social network: “dislike”, antagonista del più noto “mi piace” largamente utilizzato dagli utilizzatori di facebook, “shit this”, derivato per contrasto dal linguaggio di twitter, e l’espressione “404 file not found”.
E’ Lupo stesso a spiegare l’iniziativa sul blog SHOT: “In momento storico così critico per il nostro Paese, il disappunto per la classe politica non ha colore. Non si schiera né a favore né contro un determinato partito ma esprime indignazione verso tutti. Quest’iniziativa vuole sottolineare anche come certi meccanismi e linguaggi, tipici del web e dei social network, siano così radicati da poter essere usati in maniera simbolica per condividere un messaggio forte come questo.” La scelta di Roma è legata ai fatti del 15 ottobre: “Il mio scopo” ha aggiunto “è quello di sensibilizzare ad una forma pacifica di protesta. Lanciare una provocazione è sempre meglio che lanciare un sanpietrino, un idrante o un lacrimogeno!”
Qualcuno potrebbe definire qualunquista l’atteggiamento del creativo, in ogni caso il passaggio rete-realtà-rete ha avuto un discreto successo se in 3 giorni le immagini dell’azione ribattezzata “Social Indignados” hanno ottenuto oltre 70,000 visualizzazioni e sono state riprese da blogger italiani e stranieri (Svizzera, Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra).
Chi si occupa di marketing fa spesso riferimento al concetto di “realtà aumentata”. Con il termine si intende l’insieme delle iniziative che vanno ad aggiungere elementi multimediali e interattivi alla realtà. L’iniziativa di Massimiliano Lupo potrebbe essere considerata un esempio di questo tipo di strategia di marketing.
Il termine “realtà aumentata” è utilizzato da alcuni ricercatori dell’Università del Maryland. Pj Rey e Nathan Jurgenson da tempo lavorano su questo nuovo paradigma, cercando di superare la classica divisione tra “reale” e virtuale”. Jurgenson, in particolare, teorizza un “costante dialogo tra corpo fisico e profilo digitale”, che non solo produce una realtà aumentata, ma anche un dissenso aumentato.
Forse l’iniziativa di Massimiliano Lupo non trasforma totalmente la realtà, ma sicuramente la sua azione e la conseguente riproduzione attraverso fotografie, scrittura e social network allarga la voce del dissenso, dentro e fuori il mondo della rete, in generale, e dei social network, in particolare. E gli esperti nostrani farebbero meglio a prenderne atto.