In molti acquedotti dei comuni del Viterbese è stata rilevata una concentrazione d'arsenico oltre i 10 milligrammi/litro consentiti. Una situazione giudicata a rischio dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità
Un anno fa nel Lazio scoppiava l’emergenza arsenico nell’acqua potabile, per una contaminazione che rimane grave ancora oggi, nonostante le promesse fatte dalla Regione alle autorità di Bruxelles.
Il 28 ottobre 2010 la Commissione Europea aveva comunicato alle autorità italiane che non avrebbe accettato l’ennesima richiesta di deroga, che avrebbe consentito di innalzare di cinque volte i limiti di legge, come è avvenuto dal 2001 ad oggi. Tra le istituzioni – Regione, ministero della Salute, comuni – scoppiò il panico e per diversi mesi nessuno sapeva bene cosa fare, nonostante la politica della deroga (ovvero l’innalzamento solo formale dei limiti di legge) proseguiva da una decina di anni. Il 17 dicembre il governo decretò lo stato di emergenza, dando pieni poteri al governatore Renata Polverini. Poi il silenzio è calato lentamente sull’intera vicenda, mentre tra dodici mesi finirà per sempre ogni possibilità di ottenere nuove deroghe dalle autorità europee.
Nel Lazio la provincia di Viterbo è stata la più colpita, con concentrazioni di arsenico nell’acqua che esce dai rubinetti altissima. Una presenza naturale che si va ad aggiungere agli inquinanti, creando una situazione giudicata a rischio dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità.
A distanza di un anno in questa zona del Lazio del nord poco o nulla è cambiato. Sul sito della Asl di Viterbo sono stati pubblicati i risultati delle analisi dell’acqua per uso umano realizzate nel mese di ottobre. La situazione è decisamente grave: il superamento del limite di legge (10 microgrammi/litro di arsenico) colpisce molti comuni. In alcune zone la concentrazione di arsenico va oltre anche l’ultima deroga concessa a marzo dalla Commissione Europea su pressione del governo italiano (limite massimo 20 microgrammi/litro), raggiungendo punte di concentrazione fino a cinque volte i limiti massimi di legge. E’ il caso di alcune zone dei comuni di Capranica, Civita Castellana, Fabrica di Roma e Vetralla. Zone dove nessuno dovrebbe usare l’acqua che esce dal rubinetto, neanche per cucinare la pasta. Zone dove ancora non è stato realizzato nessun impianto di potabilizzazione, nonostante i poteri straordinari concessi dal governo.
La Regione Lazio nel dicembre dello scorso anno aveva assicurato la C.E. che la situazione era sotto controllo, e che gli impianti di potabilizzazione erano in sostanza quasi pronti. Nella richiesta di una nuova deroga – che in ogni caso sarà l’ultima, secondo la direttiva acque dell’Unione Europea – presentata dalla Direzione regionale ambiente della Regione Lazio il 14 dicembre 2010, i funzionari parlavano di “interventi realizzati ed in fase di finalizzazione con avanzamenti rispetto al piano di rientro programmato. In particolare in corso di accelerazione – si legge nel documento inviato a Bruxelles – le opere di esecuzione relative al riassetto di approvvigionamenti, rete e trattamenti”. In sostanza per la direzione ambiente mancava poco all’inaugurazione dei nuovi sistemi idrici che avrebbero portato finalmente acqua potabile nelle case dei viterbesi.
Dopo un anno solo due impianti sono stati aperti, con due storie differenti e significative. La buona notizia riguarda il piccolo comune di Vitorchiano, dove il sindaco Nicola Olivieri si è rifiutato di consegnare gli impianti al gestore dell’acqua designato dalla Regione, la Talete Spa. Qui la scorsa estate è entrato in funzione un impianto nato da una collaborazione con il Cnr, finanziato dalle casse comunali, che poi cercheranno di rivalersi sulla Regione Lazio. Il tasso di arsenico è sceso stabilmente sotto il limite di legge, con una media nella centrale piazza Roma di 7 microgrammi/litro. Il piccolo comune del viterbese fu il primo a dichiarare ufficialmente la non potabilità dell’acqua dopo la decisione della Commissione europea di non accettare un’ulteriore deroga; subito dopo l’amministrazione comunale organizzò un’assemblea cittadina, per decidere insieme alla popolazione come reagire.
Lo stesso miracolo non è avvenuto a Nepi, dove la concentrazione di arsenico continua ad essere su livelli considerati pericolosi per la salute umana, nonostante l’inaugurazione in pompa magna di un impianto di dearsenificazione sull’antico acquedotto che dal 1500 porta l’acqua in città. Il sindaco di Nepi – che ha finanziato l’opera, costata 863 mila euro – era sicuro nel giorno dell’inaugurazione, avvenuta davanti allo stato maggiore della Regione: “Queste macchine abbatteranno l’arsenico ad 1 mg per litro, contro i dieci ancora consentiti dalla legge europea in materia, in questi giorni alzati a 20”. Secondo gli ultimi dati della Asl nella sua città la situazione è ben differente: dopo il trattamento l’acqua esce ancora con un contenuto di arsenico superiore ai limiti di legge, con una concentrazione di 15 microgrammi/litro, mentre in città la situazione è ancora più grave.