I primi sono i centri sociali organizzati del Tpo, radicali nelle pratiche ma avvicinatisi da anni alla politica istituzionale. I secondi si sono formati spontaneamente con l'aggregazione democratica dal basso senza una diretta filiazione politica. Con il risultato che i Draghi hanno contrattato senza tensione la possibilità di un nuovo spazio da occupare con il sindaco, mentre quelli di Santa Insolvenza senza un canale privilegiato di trattativa sono stati sgomberati dalla polizia
Draghi ribelli e Santa Insolvenza. Due percorsi all’esterno simili, ma a ben vedere profondamente differenti. Con una diversità che nasce nel passato, e che ha determinato molte delle ultime scelte dei due gruppi. Da una parte i Draghi ribelli, nome con cui gli attivisti del centro sociale Tpo e dei collettivi “satelliti” Sadir e Panenka si sono presentati alla città. Dall’altra Santa Insolvenza, un percorso politico nato con delle assemblee pubbliche in Sala Borsa e via via cresciuto fino a diventare un aggregato estremamente eterogeneo di realtà e singoli cittadini interessati al concetto e alla pratica della cosiddetta insolvenza. In pratica il non pagare le conseguenze della crisi economica rivendicando diritti e nuove forme di reddito (il reddito di cittadinanza, ad esempio).
L’11 novembre 2011 in occasione della giornata internazionale di protesta lanciata dagli statunitensi di Occupy Wall Street, sia gli “insolventi” dell’ex Cinema Arcobaleno che i Draghi ribelli hanno rivendicato le ragioni della protesta e in qualche modo entrambi si sono anche definiti “indignati” e “99%”. Per capire le differenze tra i due gruppi bisogna allora conoscere la storia dei movimenti cittadini, e anche quella nazionale. Il Tpo da anni raccoglie l’eredità dei cosiddetti “disobbedienti”, quel movimento nato dalla ceneri dei no global che si rivelarono alle manifestazioni anti globalizzazione a Seattle nel 1999, e che furono protagonisti del G8 di Genova nel 2001. I disobbedienti, radicali nelle pratiche, si sono da anni avvicinati alla politica istituzionale, prima con i Verdi, poi con Rifondazione Comunista, e a partire dal 2010 a Sinistra e Libertà. Un avvicinamento che è avvenuto anche a livello cittadino, con la candidatura di Carlo Bottos, attivista del centro sociale Tpo, nella lista di Sel guidata da Amelia Frascaroli. Bottos alla fine non è stato eletto, ma la collaborazione e i contatti sono continuati.
Santa Insolvenza, la statua feticcio protettrice dei precari e “di chi non vuole pagare il debito”, è invece nata da una serie di assemblee pubbliche cittadine, ed è arrivata a mettere assieme gli attivisti di due centri sociali, Bartleby e Vag61, i primi indignati bolognesi che tentarono la scorsa primavera di occupare con le tende Piazza Maggiore, associazioni e collettivi di varie provenienze, e singoli cittadini che sono entrati nel gruppo via via che le assemblee, iniziate questo autunno, si susseguivano. “Non ci rappresenta nessuno” è uno degli slogan, e tra i punti fondanti di Santa Insolvenza c’è una decisa lontananza dalle istituzioni, considerate responsabili della crisi economica e politica italiana. Ultimo elemento è il fatto che un nutrito gruppo di fuoriusciti di Bartleby abbia nei mesi scorsi abbracciato il progetto politico del Tpo. Insomma, tra molti degli attivisti dei due gruppi non corre certo buon sangue. E se la cosa non ha avuto dirette ricadute nei loro rapporti politici, sicuramente ha complicato le cose.
di Giovanni Stinco