La prima sensazione è di sollievo. Sfilano davanti al presidente Napolitano i nuovi ministri del nuovo governo Monti con le loro facce nuove. La grande, inestimabile novità è che hanno preso il posto di quelli di prima. Che quelli di prima non ci sono più. Che non vedremo più le loro vecchie facce e i loro ghigni. Che non sentiremo più certi insulti. E neppure l’arroganza del potente e la prepotenza dell’impunito: io sono io e voi non siete nulla.
Significa che davanti ai problemi giganteschi del Paese i nuovi potranno fare bene o fare male, deludere o farsi apprezzare. Mai però farci vergognare di loro. Come dovrebbe capitare al governo normale di un Paese normale.
È vero, questo non è un governo normale e l’Italia non vive un momento normale. È il momento dei sacrifici, lo abbiamo capito. Ma tutti abbiamo bisogno di pensare che ci sarà chiesto il giusto e non l’ingiusto. Che la parola equità pronunciata dal nuovo premier vuol dire che tutti pagano secondo ciò che hanno. Vuol dire basta difendere caste fameliche e indegni privilegi. Vuol dire premiare l’onestà e punire l’imbroglio e l’evasione fiscale. Vuol dire aiutare i magistrati che si battono contro le mafie e non invece delegittimarli. Vuol dire ricominciamo da capo, rimettiamo le cose al loro posto.
Se questo oggi è il nostro spirito guida, non smetteremo certo di fare i giornalisti, di esercitare il diritto-dovere di critica, di mantenere il patto stretto il primo giorno con i lettori del Fatto: non fare sconti a nessuno. Del governo Monti ci piace Monti, la sua storia personale, il suo stile, il suo impegno. Meno ci piacciono il palese conflitto d’interessi di ministri strategici (Passera, ma non solo) o la scelta di un’autorevole avvocato dei poteri forti (la Severino) alla Giustizia.
Non ci scandalizza che sia il governo delle élite, visto il fallimento dei partiti votati dal popolo. Ma non ci piace la sospensione della democrazia rappresentativa. Avremmo preferito andare subito ad elezioni. Poi, dalla riserva della Repubblica, è arrivato Monti. Un’occasione di riscatto che non si può assolutamente perdere. E che perciò ha bisogno di un’informazione non prona, ma critica e leale.
Il Fatto Quotidiano, 17 novembre 2011