Nasce il governo Monti con i migliori auspici. La squadra di governo è di grande qualità. E vi è un giusto equilibrio tra chi deve pensare al risanamento e chi si occuperà di crescita. Personalmente sono molto contento della nomina di Fabrizio Barca a ministro della coesione territoriale. Sono legato a Fabrizio Barca da un’amicizia più che ventennale, siamo stati colleghi nel Servizio Studi della Banca d’Italia e abbia condiviso molte battaglie. A lui un augurio di cuore. Sono certo che si impegnerà fino in fondo (come sempre ha fatto nella sua vita) per il benessere del Paese.
La fuoriuscita ingloriosa di Silvio Berlusconi deve essere un’occasione per riflettere su questi ultimi decenni di vita nazionale. Il primo punto, a mio avviso importante, è capire che la vicenda berlusconiana non può essere liquidata come una parentesi politica dovuta solo al controllo dei mezzi televisivi. Berlusconi ha interpretato le paure e i bisogni di una fetta importante del Paese.
Nella sua fase iniziale si era proposto come portatore di un progetto di riforma dell’economia e della società italiana: aveva parlato di “rivoluzione liberale”. L’Italia è stato ed è ancora un paese chiuso, nel quale esistono “salotti buoni”, sistemi di amicizie, arciconfraternite del potere (diceva Guido Carli), ristretti gruppi che partecipano a tanti consigli di amministrazione, alleanze trasversali. E’ sempre stato difficile emergere, affermarsi, anche in campo imprenditoriale. Berlusconi si presenta come colui che intende rompere alcune consuetudini, vuole ridurre le tasse e il peso dello Stato, aprire alla concorrenza, semplificare la burocrazia.
Nella pratica di governo tuttavia Berlusconi mostra di non avere la forza per realizzare quel programma. Fare una rivoluzione liberale richiede un grande coraggio e la capacità di essere impopolari magari per un periodo non breve. Si pensi alla signora Thatcher che per lunghi anni fu odiata, dileggiata, ostracizzata da tutti mentre procedeva lungo un sentiero di riforme draconiane. La Thatcher continuava a ripetere “la storia mi darà ragione” e così è stato. Berlusconi non ha avuto quel coraggio.
Forse aveva venduto sogni. Ma se fosse così è sorprendente scoprire che per ben tre volte la maggioranza degli elettori ha scelto di affidarsi a lui per governare il Paese.
Berlusconi ha cambiato il modo di fare politica in Italia, personalizzando il confronto e utilizzando tecniche di marketing politico mutuate da paesi come gli Stati Uniti.
Non voglio soffermarmi sugli aspetti di populismo di cui il modo berlusconiano di fare politica è intriso. Mi sembra più interessante capire come mai non ci sia stata in questi 17 anni un’alternativa credibile al berlusconismo che si presentasse agli italiani con un programma di riforme utili per rilanciare la crescita.
Come mai è così difficile fare una rivoluzione liberale in Italia?
Perché si tratta di colpire tante corporazioni e tanti comportamenti consolidati. Si tratta di cambiare la pubblica amministrazione (i cui dipendenti votano a sinistra per lo più); si tratta di riformare la scuola per renderla meritocratica (e gli insegnanti votano a sinistra); si tratta di rendere più efficiente e veloce la giustizia (e i magistrati non godono di buona stampa a destra); si tratta di rendere più efficienti le banche; si tratta di combattere l’evasione (e molti evasori sono elettori del centrodestra); si tratta di far crescere le imprese, di aprirle a nuovi capitali; si tratta di aprire alla concorrenza tanti settori: notai, avvocati, farmacisti, taxi, assicurazioni, servizi pubblici locali, etc. E liberalizzare significa scontentare chi appartiene a questi settori. Si tratta di dare più opportunità ai giovani magari riducendo alcuni dei privilegi di cui godono gli anziani. E così via.
Al momento nessuno dei due schieramenti che si sono confrontati alla guida del governo in Italia negli ultimi venti anni ha avuto la capacità di costruire un blocco sociale pro-riforme.
La fine di Berlusconi non significa che i problemi siano risolti. Le forze di conservazione sono ancora intatte.
Da qui nasce l’idea di un governo tecnico. I tecnici forse non dovendo essere ri-eletti possono avere la lucidità e il coraggio di fare le riforme nell’interesse di tutti e non di questo o di quel gruppo. Ma i tempi sono stretti. Lo spread è rimasto immutato.
Gli investitori non si fidano.
Ma in pochi mesi Monti non potrà fare tutto. Ci sarà uno schieramento capace di proporre un progetto riformatore serio e coraggioso quando si tornerà a votare?
La “rivoluzione liberale” sarà mai possibile?