Gli aiuti sono stati elargiti nel 1995 ma nel 2008 era stato recuperato solo lo 0,5 per cento. Cofferati: “Formazione utile solo se finalizzata al lavoro. Italia vive fuori dalle leggi Ue”. Ultimo caso a Napoli: corsi fantasma
La Corte di giustizia europea ha condannato l’Italia a pagare una multa di 30 milioni di euro per non aver recuperato gli aiuti per contratti di formazione lavoro elargiti a centinaia di aziende in forma di sgravi fiscali. Una multa già salata che lieviterà per ogni semestre di ritardo nel recupero dei fondi che sarebbero già dovuti scattare nel 2004. E a pagare le spese legali sarà ancora Roma.
Ancora una volta sul banco degli imputati della Corte Ue finiscono gli aiuti di stato italiani, giudicati “illegali e incompatibili con il mercato comune europeo” dai giudici del Lussemburgo. In questo caso si tratta di aiuti concessi dall’Italia per interventi a favore dell’occupazione a partire dal novembre 1995 e finalizzati all’assunzione di lavoratori mediante contratti di formazione e lavoro. Insomma una “giusta causa” verrebbe da dire. L’Ue infatti versa svariati milioni di euro ogni anno nel Fondo sociale europeo ma a patto che si rispettino le regole.
La legittimità di questi aiuti è vincolata alla “creazione di nuovi posti di lavoro nell’impresa beneficiaria a favore di lavoratori che non hanno ancora trovato un impiego o che hanno perso quello precedente” o ancora alla “assunzione di lavoratori che incontrano difficoltà ad inserirsi o a reinserirsi nel mercato del lavoro”, in particolare “giovani con meno di 25 anni, laureati fino a 29 anni compresi e disoccupati di lunga durata”. In tutti gli altri casi si tratta di aiuti illegittimi e per questo da restituire a Bruxelles. E di casi come questi in Italia non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Un esempio? Napoli, fine ottobre 2011. La Guardia di Finanza scopre una truffa di 1 milione e 800mila euro del Fondo Sociale Europeo. Una società napoletana nel 2007-2008 avrebbe dovuto tenere corsi di formazione per “operatore addetto alla bonifica delle coste” destinato a disoccupati di lunga durata ed emarginati sociali. Dopo i corsi, i soggetti formati avrebbero dovuto lavorare nelle aziende aderenti al progetto. Peccato che i corsi rimangono sulla carta, i disoccupati non trovano lavoro e i soldi spariscono per incanto.
Nella sentenza di oggi, la Corte Ue non parla espressamente di truffe, ma di illegittimità nell’attribuzione dei fondi. Quello che non cambia è il risultato: l’Italia deve restituire 30 milioni più gli interessi. Inutile dire che il governo italiano ha avuto molte possibilità di evitare la sanzione, visto che il procedimento è iniziato nel 2004 e la Commissione europea, prima di adire la Corte Ue, ha mandato vari solleciti a Roma. Evasive, incomplete e rigorosamente in ritardo le risposte del Governo italiano. Il 19 dicembre 2006 l’avviso finale di Bruxelles: attenzione che andiamo in Corte di giustizia. Come se non lo avesse detto. Il 19 luglio 2007 arriva la diffida formale degli uffici Ue, ma il 1 febbraio 2008, dopo tre anni dalla prima sentenza, gli aiuti recuperati risultano solo lo 0,5% del totale. E dire che nel luglio 2006 la Repubblica italiana aveva addirittura annunciato la creazione di un nuovo ente amministrativo che avrebbe accentrato tutti i procedimenti di recupero. Infine nel 2010 il colpo di teatro: l’Italia contesta l’importo totale da recuperare, ma ormai è troppo tardi, il procedimento è già avviato in Corte di giustizia.
“La sentenza del 2004 andava applicata subito. Aver atteso non ha aiutato il Paese che si becca solo una sanzione molto consistente”, commenta Sergio Cofferati dall’Europarlamento. “La formazione ha un valore fondamentale se serve ad inserire una persona nel mondo del lavoro e non ad alimentare la formazione in se stessa”. “L’Italia continua a vivere nell’Europa comunitaria prescindendo dalle sue norme, e non solo nel lavoro, ma anche nell’utilizzo dei fondi strutturali e negli interventi di fronte alle emergenze ambientali”.
L’Italia non è infatti nuova a condanne per uso illegittimo di fondi Ue. Risale allo scorso luglio l’ultimo episodio che ha visto l’Italia condannata dalla Corte di Giustizia per gli aiuti ricevuti da alcune regioni per le calamità naturali del 2002, nel particolare l’eruzione dell’Etna, il terremoto a Campobasso e le inondazioni al Nord. Anche in questo caso, gli aiuti di Stato sono stati giudicati dalla Corte Ue “incompatibili con il mercato comune”. Ad ogni modo oggi tocca al lavoro, domani chissà.