“È stato uno stratagemma: privare il protagonista della sua esistenza per riempirla con quella degli altri. L’idea dello spettacolo è partita dalla canzone che ho scritto 3 anni fa, Boxe a Milano, dove volevo raccontare la città come l’avevano vista i miei genitori appena arrivati dalla Campania negli anni 50: il luogo delle opportunità. E la boxe era una di queste che regalava un lavoro e anche 5 minuti di celebrità a tutti: al Palalido c’erano gli incontri dove partecipavano panettieri e operai e facevano di tutto per salire sul quel ring, anche solo una volta. E San Siro era affollatissimo, per esempio, per un incontro di Sandro Mazzinghi, campione del mondo di pugilato degli anni Sessanta”.
Però Pacifico si spinge più in là. A raccontare “i cazzotti” che ci colpiscono nella quotidianità, di cui quelli sul ring sono chiara metafora: “Ci vuole una grande forza oggi nel sostenere la tensione che c’è: molti persone fanno fatica a vivere, lo si percepisce dal bisogno di raccontarsi appena è possibile da Facebook alla tv”. E allora fa sfogare chi non ce la fa più nel bilocale del mite Agostino Sella: dalla vicina depressa, chiusa in casa da anni al signore che è in lite con la badante della madre.
Un elogio dei “cosiddetti” perdenti: “Io non li vedo così. Perché ogni giorno si dovrebbe vincere? Non credo nei vincenti che non siano mai stati “perdenti”. È normale perdere. Tutto sommato mi sembra anche equilibrato. È esagerato chi fa eccessiva professione di volontà”. Boxe a Milano, rientra nella stagione Nuove storie messa a punto da Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani (direttori del teatro Elfo Puccini) ad hoc per la sala Bausch.
di Bianca Bemori