L'edificio, dichiarato patrimonio dell'umanità dall'Unesco, è in stato di totale abbandono. Dagli anni '60 fino al 2009 sede dell'Istituto d'arte, sfrattato per far spazio ai lavori di restauro dell'edificio che, però, la sovrintendenza ai Beni culturali della città etnea non ha mai iniziato. La proprietà è della Regione Sicilia che però rivia la responsabilità alla Provincia
Degrado, soffitti cadenti, buchi alle pareti. E migliaia di disegni sparsi per le aule deserte. Ad essere stata abbandonata a Catania non è una scuola qualunque, ma l’ex collegio dei Gesuiti, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Dagli anni ’60 fino al 2009 sede dell’Istituto d’arte di Catania, sfrattato per far spazio ai lavori di restauro dell’edificio. Lavori che la sovrintendenza ai Beni culturali di Catania non ha mai iniziato. «Ė una vergogna, le istituzioni devono metterci la faccia per trovare una soluzione», commenta un lettore del blog catanese redazionesottosfratto.it, che pochi giorni fa ha pubblicato un video dell’interno della struttura, tra balconi pericolanti e fili divelti. Perché l’ex collegio, intanto, non è del tutto chiuso: chiunque può entrare da due ingressi ancora aperti, in barba a una ordinanza del sindaco che vieta l’accesso all’edificio. Su internet gira pure un video di una scorribanda di alcuni ragazzini. «Una situazione gravissima», commenta l’architetto Gesualdo Campo, massimo dirigente della Regione Sicilia per i Beni culturali.
La Regione è proprietaria della struttura, acquistata circa 15 anni fa per farne la nuova sede della Biblioteca universitaria regionale, affidandola alla sovrintendenza dei Beni culturali di Catania. Che, nel 2009, sfratta l’Istituto d’arte – tra le proteste degli studenti e degli insegnanti – per prendere possesso dell’immobile e iniziare i lavori. Da allora, però, mai cominciati. Secondo Campo – a quel tempo sovrintendente etneo – la responsabilità è della Provincia di Catania che nel 2009 non avrebbe concluso il trasloco dei materiali di proprietà dell’ex Istituto d’arte. L’edificio non sarebbe stato «mai consegnato ufficialmente», spiega. «Non dovevamo consegnarlo perché la sovrintendenza aveva già le chiavi – rispondono dalla Provincia – Siamo stati noi a chiedere loro l’accesso all’edificio, com’è ampiamente dimostrabile dagli scambi di lettere tra i due enti». In effetti, fino ad oggi, nessuno aveva messo in dubbio la responsabilità diretta della sovrintendenza e la sua presa in carico del bene. Nemmeno l’attuale responsabile Vera Greco che, fino a pochi giorni fa, dichiarava: «Se qualcuno si facesse male all’interno ne risponderei io personalmente». Una possibilità da non escludere, come dimostrano le immagini del blog etneo.
Uno scarica barile con in mezzo una struttura di grande pregio artistico abbandonata a se stessa. Sono 5 i milioni di euro messi a disposizione dalla Protezione civile per la sua messa in sicurezza, stanziati nel 1998 con i fondi della legge 433/91, ma mai utilizzati. Per l’architetto Giovanni Laudani, attuale direttore dei lavori, i ritardi sono solo causa di «adeguamenti normativi e burocratici». Ad oggi solo una parte dei lavori è stata realizzata, per una spesa di circa 860 mila euro, in un’ala che era già della Biblioteca regionale e non dell’Istituto d’arte. Ma anche dopo l’eventuale fine dei lavori – e soprattutto del budget a disposizione – non tutto l’ex collegio verrà riaperto. Perché per completarlo servono almeno 20 milioni di euro, fa sapere l’architetto. «I fondi li richiederemo nel bando per la nuova sede della Biblioteca regionale universitaria, dopo la messa in sicurezza» continua Laudani. Il cui progetto è durato appunto due anni. «Un mese fa abbiamo fatto le ultime rilevazioni richieste dal Genio civile» conclude.
«La notizia dello sfratto mi aveva reso malinconica. Ma era stato dichiarato un obiettivo. Vedere oggi questi video è doloroso. Le istituzioni sono obbligate a dare ai catanesi spiegazione di questo ignobile lassismo» commenta Erika, ex studentessa dell’Istituto. Alcuni suoi ex compagni in queste ore lanciano una campagna: chiunque rivoglia i propri lavori – lasciati a marcire nell’immobile – lo dica pubblicamente sulla pagina facebook della protesta.
di Leandro Perrotta