Chiuse le indagini per la morte di Devid Berghi, il neonato di 23 giorni morto per una grave broncopolmonite causata dal freddo all’inizio dello scorso gennaio a Bologna. Sono quattro gli avvisi di fine indagine firmati da Alessandra Serra, sostituto procuratore della Repubblica di Bologna. Due sono indirizzati ai genitori del bambino, Sergio Berghi e Claudia Gambato, persone risultate in grave difficoltà che trascorrevano le loro giornale riparandosi dal gelo dell’inverno nella centralissima Sala Borsa, e gli altri a due operatrici socio-assistenziali. Si tratta della responsabile dell’area famiglia e minori del quartiere Santo Stefano e dell’assistente sociale che avrebbe dovuto seguire della situazione di Claudia Gambato.
Le singole responsabilità ipotizzare dalla procura sono eterogenee, nonostante per tutti il reato contestato sia quello dell’omicidio colposo. Per il padre e la madre del neonato, nello specifico, si parla di negligenza, imprudenza e imperizia non avendo somministrato al figlio le cure necessarie. Per le due operatrici, Antonella Tosarelli e Mariangela Celeste, che avevano l’obbligo giuridico di impedire l’evento, si ritiene invece che la situazione di indigenza della famiglia sia stata sottovalutata troppo a lungo. Il tutto mentre Devid, nato poco più di tre settimane prima dell’antivigilia dell’epifania, veniva stroncato da una broncopolmonite ormai in stadio troppo avanzato.
Vivevano per strada con tre bambini piccoli sotto gli occhi di tutti. La storia del piccolo Devid risale allo scorso 4 gennaio quando un’autoambulanza del 118 aveva raccolto un neonato febbricitante nella centralissima piazza Maggiore. Trasportato d’urgenza al policlinico Sant’Orsola, il bambino era stato ricoverato in gravissime condizioni e nonostante le cure intensive il giorno successivo morì.
La vicenda suscitò scalpore a livello nazionale. Intanto perché la famiglia, già nota ai servizi sociali, viveva sotto gli occhi di tutti, riparandosi di giorno dal freddo in Sala Borsa, dove il via vai delle persone è intenso, e arrangiandosi la notte, quando la temperatura scendeva sotto zero. Una presenza, almeno quella diurna della famiglia Berghi, che non poteva passare inosservata, dato che oltre a Devid con i genitori c’era il gemello, Kevin, e una piccola di 18 mesi nata da una precedente relazione della donna.
Poi il 13 gennaio, 8 giorni dopo la morte del neonato, il tribunale dei minori aveva deciso di sospendere la potestà genitoriale alla coppia degli altri due bambini. Il Comune di Bologna era stato nominato tutore dei minorenni ed era stato avviate le procedure di adottabilità. Un timore, questo, hanno dichiarato in seguito i genitori, che li aveva spinti a non chiedere aiuto una volta nati i gemelli e dimessi dall’ospedale, soprattutto perché Claudia Gambato si era già vista togliere due figli più grandi di quelli che stavano con lei fino all’inizio del 2011.
La responsabile dell’area famiglia e minori del quartiere Santo Stefano, dal canto suo, quando si era diffusa la notizia della sua iscrizione nel registro degli indagati, aveva dichiarato di essere stata in ferie in quel periodo e di non aver potuto neanche volendo procedere con gli accertamenti necessari. Di parere diverso gli inquirenti, secondo i quali la donna e la collega sarebbero già state informate delle condizioni della famiglia Berghi e della recente nascita di David e del suo gemello.
Indagini a tutto tondo e il Comune fa quadrato intorno alle operatrici. Le indagini partite subito dopo la morte del neonato erano state ampie. Da un lato l’intento era quello di accertare quali potessero essere state le condotte della madre e del padre, ma era stato verificato anche l’intervento degli operatori del 118 e le modalità adottate dai medici del pronto soccorso e del reparto di pediatria dopo l’arrivo in ospedale del bambino. Il focus degli inquirenti si era indirizzato inoltre sui servizi sociali, difesi in primis dall’allora commissario prefettizio Anna Maria Cancellieri, neo ministro degli Interni. In base a quanto dichiarò lo scorso inverno, era stata la famiglia a rifiutare qualsiasi forma di supporto arrivando addirittura a nascondere la gravidanza.
E più di recente l’assessore ai servizi sociali di Palazzo d’Accursio Amelia Frascaroli aveva preso le difese della responsabile dell’area famiglia e minori del quartiere Santo Stefano sostenendo che l’operatrice “gode della nostra stima. È una delle più competenti, capaci e attente. Faremo il possibile per proteggerla e garantirla”. Oggi il sindaco Virginio Merola, una volta saputo dell’avviso di chiusura delle indagini, ha voluto precisare che quelle contestate sono “responsabilità individuali” e il Comune sta già lavorando “alla modifica delle procedure e delle regole per renderle più adeguate” in casi così delicati.